Destiny, figlia di immigrati, fa la ballerina in uno strip club dove cerca di guadagnare qualcosa per mantenere sé stessa e la nonna con la quale è cresciuta e vive. Ma l’universo della lap dance non le è congeniale, il suo corpo si trascina faticosamente nello stretto divario tra un divanetto e un tavolino  del locale, senza mai essere notato, e i facoltosi broker di Wall Street le preferiscono spogliarelliste di gran lunga più intraprendenti e sessualmente appetibili. Ogni sforzo è immane e ogni tentativo di vincere la competizione con le colleghe inutile, almeno fino a quando Destiny non conosce Ramona, unica vera “prima donna del club”. Dopo averla presa sotto la sua ala protettrice, Ramona condivide con lei i segreti di quel mestiere, insegnandole a fare del suo corpo la più redditizia fonte di guadagno. Unite dallo stesso destino e da una complicità tutta femminile, le due donne vivranno momenti d’oro. Ma quando la crisi del 2008 mette al tappeto la società e trascina nel baratro lo strip club, le due amiche, dopo essersi perse temporaneamente di vista, si ritrovano, mettono in piedi una piccola squadra di mantidi ammaliatrici e uniscono le energie per drogare e truffare i pochi ricchi broker in circolazione: colpevoli, secondo loro, di averle sempre sfruttate e di aver causato – senza troppi sensi di colpi – una crisi mai vista prima.

Ispirato a una vera storia, divenuta subito virale, comparsa sul New York Magazine e firmata da Jessica Pressler (interpretata nel film da Julia Stiles), Le ragazze di Wall Street – Business is Business racconta la truffa ordita da un gruppo di spogliarelliste/criminali ai danni di facoltosi colletti bianchi di Wall Street. Ben consapevoli delle potenti armi di seduzione a loro disposizione, le protagoniste scelgono di truffare per non essere truffate e monetizzano il proprio corpo – da sempre ridotto a oggetto del desiderio da parte degli uomini frequentati – per arricchirsi. Del resto, come ben sottolineato attraverso un paio di battute del film («Quando si è parte di un sistema malato, o si truffa o si è truffati») così come dal sottotitolo italiano, gli “affari sono affari” e se vuoi sopravvivere in un universo maschilista devi trovare il modo di non farti schiacciare. Sembra un po’ tutto qui il succo del film scritto e diretto da Lorene Scafaria, regista talmente interessata a coinvolgere lo spettatore attraverso una colonna sonora ricca e incalzante e uno stile di ripresa dal buon ritmo da dimenticare in parte, se non completamente, la vicenda narrativa. La Scafaria non solo non è interessata a interrogarsi sulla discutibile moralità di queste donne, ma le mette al centro di una cornice drammatica che cerca in tutti i modi di indurre lo spettatore a fare il tifo per loro, giustificandone come meglio può, ma senza  riuscirci, azioni e comportamenti, salvo poi mostrarci il lato più lascivo delle stesse, ammaliate dai soldi facili e sempre pronte a crogiolarsi con borse, scarpe firmate e costose pellicce.

Il film, principalmente costruito intorno alla dirompente presenza  scenica di Jennifer Lopez, bravissima nell’incarnare un personaggio complesso, contradditorio e dalle molteplici personalità – sfacciata predatrice di notte, amica e mamma protettiva di giorno – insiste sul rapporto di sorellanza e complicità di queste donne, accomunate dallo stesso percorso e costrette (quasi che non ci fossero nella vita alternative o diverse opportunità di scelta) a piegarsi al corso degli eventi, rimescolando però a propri vantaggio le carte in gioco. Lo strip club al centro della vicenda diviene così il luogo dove transitano due diverse facce di un’umanità meschina: quella maschile, popolata da uomini abituati a comprare tutto con soldi e potere, e quella femminile, fatta di donne pronte a sfruttare le debolezze maschili e i benefici del desiderio e della sessualità, per diventare, proprio come loro, ricche e potenti.

Narrativamente poco efficace – meglio la prima parte della seconda che risente di una certa piattezza – provocatorio e amaro, il film descrive un gruppo di donne in cerca di un ipotetico riscatto da una società che le vuole piegare, ma non rende credibile il dramma delle protagoniste, che non sembrano per nulla a disagio in questo loro ruolo di criminali predatrici. La storia non le presenta né simpatiche né empatiche; la disillusione del sogno americano tradito e la necessità di dover sopravvivere non è sufficiente a giustificarne i gesti e finisce con il ridurre i personaggi a personalità assetate di denaro e ingolosite dal facile guadagno e dalla ricchezza. Che sia voluto o meno, la sensazione è di trovarsi di fronte a un’umanità femminile difficilmente difendibile che si macchia senza troppa preoccupazione di reati e crimini perché stregata da un’avidità e da un’amoralità che non le rende per nulla diverse dagli uomini che condanna.

Marianna Ninni