Si combatte all’ultimo comizio, intervista, colpo basso per avere ogni voto, nelle primarie democratiche nell’Ohio. In palio, la candidatura alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Michael Morris è brillante, bello, agnostico, spregiudicato, progressista (a favore delle unioni gay, in difesa dell’ambiente, contro la guerra e le spese militari); dice sempre la cosa “giusta”, quella che il suo elettorato moderno vuol sentirsi dire. E lo dice con grande convinzione e fascino. Il suo rivale è ben più grigio, forse “bigotto”. Ma la vittoria nel decisivo Ohio non è sicura. Un potente senatore di colore minaccia di vendere il suo appoggio (e i suoi 300 preziosi delegati) al migliore offerente, in cambio di un importante posto nel futuro governo. Ovviamente, l’onesto Morris rifiuta ogni compromesso proposto dai suoi collaboratori, in prima fila lo stratega Paul Zara, navigato e cinico, e l’addetto stampa Stephen Myers, dai cui occhi idealisti vediamo scorrere gli eventi. Per Steven, Morris è la persona giusta, anzi l’unica possibile, per cambiare l’America e il mondo. Ha ragione lui o è un illuso, come gli dice con perfidia l’intrigante giornalista Ida Horowicz (“credi che lui cambierà le cose?”). Intanto in Steven si imbatte una bella e giovane stagista, che avrà un ruolo determinante nello scatenare eventi a catena, oltre al diabolico invito a un’innocente chiacchierata del capo dello staff del rivale…
Un film politico con colpi di scena da thriller, di cui è bene sapere meno possibile prima di vedere il film, o un thriller politico? Le idi di marzo, tratto dall’opera teatrale Farragut North di Beau Willimon, è stato concepito in epoca pre Obama; George Clooney, che ne è regista e cosceneggiatore oltre che interprete nei panni dell’affascinante candidato alla presidenza (con la stessa generosità del suo precedente Good night and good luck di dare spazio a colleghi bravissimi e di ritagliarsi un ruolo decisivo ma secondario), lo stoppò quando Barack Obama, da lui sostenuto con convinzione, iniziò la sua folgorante corsa verso la Casa Bianca, per non appesantire di cinismo quel periodo di speranza. Ora, sempre convinto obamaniano ma forse in parte deluso per le speranze di cambiamento frustrate, torna a quel testo con un film amaro che non può non far pensare ai sostenitori dell’attuale presidente e alle ingenuità che circondarono la sua “epifania” politica (i manifesti di Morris hanno lo stesso taglio grafico-estetico di quelli ideati all’epoca per Obama). Non sembra tanto un j’accuse demagogico sull’equiparazione di ogni posizione politica verso il basso (anche se tutti danno il loro peggio), quanto una sofferta e matura consapevolezza di cosa possa diventare la politica, tra tradimenti (da cui il titolo) e sottigliezze luciferine.
La corsa alle elezioni è svelata in tutte le sue nefandezze, e pensare che un solo uomo possa cambiare le cose – in forza di ideali che possono spesso lasciare il posto a biechi calcoli e interessi – è una pericolosa utopia. Pericolosa per chi ci lascia le penne e per chi finisce per vendere l’anima al diavolo, perdendo le speranze con cui si era speso generosamente al servizio di una causa. Non tanto nobile come veniva dipinta.,Ma tutto ciò servirebbe solo a concepire un pamphlet pessimista, ma poco appassionante per lo spettatore, se non fosse rivestito di tutta la qualità cinematografica possibile. La sceneggiatura, scritta da Clooney con Grant Heslov (già regista del film L’uomo che fissa le capre), è ricca di dialoghi fulminanti e situazioni illuminanti (in alcune sequenze la lotta politica viene descritta con scene da mafia movie: come la resa dei conti finale nel retro di un bar e un licenziamento in un’auto ferma in un vicolo), la regia è attraente e cattura l’attenzione per tutta la durata del film (che vorremmo non finisse mai), gli attori sono quanto di meglio si possa trovare oggi nel cinema americano. Se Clooney è ben di più del divo inseguito dai rotocalchi ma un attore di classe sconfinata, il giovane Ryan Gosling apprezzato nel recente Drive (ma anche in The Believer, Lars e una ragazza tutta sua e Le pagine della nostra vita) conferma la sua enorme bravura; mentre in ruoli di supporto abbiamo giganti come Philip Seymour Hoffmann, Paul Giamatti e Marisa Tomei (ma anche Evan Rachel Wood se la cava bene). Quello che ha inaugurato la Mostra di Venezia 2011, e che ha avuto molti meno premi e riconoscimenti di quel che meritasse, è uno dei film migliori, americani e non, di quel ricchissimo anno cinematografico che è stato il 2011.
Antonio Autieri