Polonia, 1990. Per il Paese è appena iniziato il periodo democratico, dopo i drammi dell’occupazione nazista e del regime socialista. La gente sperimenta le prime libertà “occidentali”: beve Coca-Cola e Fanta, compra jeans di marca, sogna di cambiare lavatrice o automobile. Quattro donne all’apparenza realizzate, pur nel contesto squallido in cui vivono, si scoprono in realtà profondamente insoddisfatte e mancanti. C’è Agata (Julia Kijowska), una giovane madre incastrata in un matrimonio infelice. Ci sono Iza (Magdalena Cielecka) e Marzena (Marta Nieradkiewicz), due sorelle molto diverse: la prima fa la preside ed è innamorata, senza molto successo, del padre di una sua allieva, mentre la seconda è una ex regina di bellezza locale che ora tiene corsi di ballo e di acquagym, ma che spera in un rinnovato successo. E infine c’è Renata (Dorota Kolak), insegnante attempata, affascinata da Marzena, che è sua vicina di casa e con la quale cerca in ogni modo di instaurare un rapporto.

Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura al Festival di Berlino 2016, Le donne e il desiderio è il primo lavoro di rilievo internazionale per il giovane regista polacco Tomas Wasilewski (classe 1980). La regia è quasi teatrale – le attrici provengono soprattutto da questo mondo – fatta di inquadrature fisse e prolungate su scene di vita comune e su scorci di paesaggi squallidi e freddi (casermoni popolari in stile sovietico, fermate di autobus in mezzo al nulla), di silenzi. L’atmosfera malinconica è sottolineata dai colori sbiaditi della fotografia. Ciò che unisce le protagoniste è la voglia di cambiare le proprie vite, di dare loro una svolta, sulla scia del cambiamento che sta attraversando la Polonia stessa. Ma le nuove, anche piccole, possibilità portate dal passaggio alla democrazia non bastano a compiere i loro desideri e i loro cuori, né gli sfoghi sessuali (in questo senso la pellicola è molto esplicita, anche troppo), ma è qualcos’altro. Qualcosa sulle cui tracce si mettono le quattro donne, provando a dargli un volto o un nome e andandogli dietro, con tutti i limiti e le cadute che ciò comporterà.

Sicuramente quello di Wasilewski è un tentativo valido e interessante di descrivere il contrasto tra i desideri e la realtà spesso deludente che ci si trova a vivere. Ma la descrizione sembra fermarsi qui – ed è un po’ poco – senza un’ulteriore elaborazione che avrebbe completato il film. Forse l’omelia del sacerdote durante il funerale di una certa Maria, che ricorre due volte uguale durante la narrazione, è un indizio messo lì dal regista per aiutare a capire «cosa ci dà l’amore?», cioè cosa può compierci davvero: «Finire nella fedeltà e nell’amore è aver vissuto pienamente la vita».

Alessandro Giuntini