Alice Rohrwacher, con il suo terzo film, è stata per la seconda volta in gara a Cannes. E la giuria, presieduta da Cate Blanchett, ha apprezzato, tanto da tributarle il premio per la miglior sceneggiatura cui sono seguiti una serie di attestati da parte della critica internazionale. Un bel trampolino di lancio per Lazzaro felice, che vede tra i protagonisti Adriano Tardiolo, Sergi Lopez, Nicoletta Braschi e Alba Rohrwacher.
Si tratta soprattutto una fiaba, un apologo in difesa della bontà, quella rappresentata da Lazzaro; una bontà che non viene vista e capita. Un film nettamente diviso in due parti; la prima ambientata in un modo rurale senza tempo (anche se siamo negli anni 90 come si desume dai primi cellulari) e fatto di sfruttamento, e una seconda che si svolge almeno 15-20 anni dopo in una città del Nord non identificata dove prevale la marginalità. A fare da tratto comune tra le due parti è appunto Lazzaro che muore per un incidente alla fine della prima ma che torna, risorgendo letteralmente, nella seconda parte per andare a incontrare di nuovo alcuni dei suoi amici contadini, nel frattempo sfrattati dalla fattoria e abbandonati a loro stessi in una città che non conoscono, non li accoglie e non dà loro alcuna possibilità, se non vivere di espedienti. Lo sguardo fiducioso, trasognato, immune da sentimenti negativi del ragazzo (davvero molto efficace l’interpretazione di Tardiolo che rende con efficacia il personaggio), però, non è cambiato. Vorrebbe essere di aiuto, ma se in campagna ci riusciva, in città deve arrendersi e riconoscere la sua impotenza…
Lazzaro felice è un film con diversi spunti di interesse e con uno sguardo sull’umano che fa di Alice Rohrwacher una delle registe più interessanti di questi anni. Non tutto, però, funziona a dovere, soprattutto nel passaggio tra le due parti (molto più convincente quella ambientata in campagna che conferma quanto la regista, come già visto ne Le meraviglie, sia particolarmente a suo agio nel raccontare il mondo rurale) e per alcune scelte di sceneggiatura che potrebbero lasciare perplesso il pubblico. Un film – come ricordato dalla stessa regista – «che chiede allo spettatore di tornare innocente» per farsi trasportare e per poter essere seguito e apprezzato nei suoi toni fiabeschi. Nota di merito aver riportato sul grande schermo Nicoletta Braschi che convince nella parte della cinica Marchesa Alfonsina De Luna.
Aldo Artosin