Scene da un matrimonio senza troppa speranza. La Tadjedin, guardando a maestri del cinema d'amore e non solo come Ingmar Bergman, Woody Allen, Mike Nichols segue passo dopo passo per un'unica notte le vicissitudini di una giovane coppia in crisi d'identità. L'ambiente è alto borghese, extralusso le scenografie e gli interni; le amicizie – come si addice alla classica coppia borghese – vacue, ininfluenti. Solo rapporti di cortesia o giù di lì. E anche le loro professioni – Worthington lavora in un'azienda che cura ristrutturazioni di edifici, Keira è scrittrice indecisa, non di grande successo – tradiscono una fragilità: si ristruttura qualcosa che è quanto meno datato; mentre lo scrittore è per eccellenza, almeno al cinema, la professione più problematica, sempre a rischio d'impasse. Così i due, dopo l'ennesimo party tanto chic quanto inconsistente, cercano altrove, in un'avventura fuori dal matrimonio un briciolo di libertà, con la testa e il cuore pieno di rimpianti, rimorsi e forse nostalgia. Film d'interni, claustrofobico nonostante l'arredamento perfetto degli appartamenti o delle camere d'albergo in cui è ambientato, Last Night è una specie di apologo rassegnato sulla fine inevitabile del desiderio. Ciò che davvero appaga è ciò che abbiamo lasciato, volenti o nolenti, indietro nel nostro passato. È un rapporto che non si compie quello di cui abbiamo un ricordo più vivido, sembra suggerirci la regista, concentrando le sue attenzioni e affidando i dialoghi più riusciti e più realistici alla coppia formata dalla Knightley e da un suo vecchio amico scrittore francese ritrovato per caso a New York. Solo il desiderio non compiuto è continuamente alimentato e non finisce. Per tutto il resto, matrimonio compreso, è solo questione di tempo. Tutto scorre, tutto finisce come ci ricorda il finale assai amaro. Troppo sbilanciato dal punto di vista femminile – la storia parallela con protagonista un inefficace Sam Worthington è piatta, priva del realismo psicologico che riempie invece il personaggio della Knightley – il film, pur tra qualche semplificazione, cerca di portare avanti un discorso sull'amore e sulla vita di coppia che non sia soltanto una questione di cuscini e di lenzuola. L'amore rappresentato dal film ha a che fare con la condivisione, con l'attenzione all'altro e anche con l'attesa dell'altro. Il che è nobile e verosimile e anche controcorrente in un panorama di commedie sentimentali dove ormai l'amore è decaduto a pura reazione sentimentale. Ma forse non basta, e di sicuro non basta ai personaggi che vivono queste avventure compiute o mancate con una grande tristezza di fondo, come se in fondo fosse una battaglia persa e alle cose belle, in un modo o nell'altro, bisognasse sempre rinunciare. La questione di fondo sta, dietro il benessere economico e i vestiti firmati e i cocktail party, nella solitudine estrema in cui versano marito e moglie. Soli tra i colleghi di lavoro, soli tra amici o presunti tali, soli anche e soprattutto tra di loro, non paiono in grado di superare le difficoltà, gli errori e i piccoli (o grandi) tradimenti quotidiani perché semplicemente non c'è nessun amico a cui guardare o chiedere un aiuto. Da questo punto di vista è istruttivo il rapporto tra la Knightley e il suo amante, che più del marito si accorge delle difficoltà e della fragilità di lei, e a lei si avvicina e la ascolta un po' per aiutarla e, a dire il vero, anche un po' per approfittarsene. Ma anche questa posizione non durerà se non il breve tempo di una notte. Quello che manca insomma ai due protagonisti è uno sguardo davvero amico su di loro, da cui imparare che l'amore non è rinuncia, sacrificio, nostalgia o coerenza, ma perdono, gratuità e apertura all'altro. Compresi magari dei figli, che, significativamente, sono assenti nel film. ,Simone Fortunato,
Last Night
Una giovane coppia in crisi vive parallelamente, e per una sola notte, un'avventura extraconiugale.