Nel maggio del 1945 la Germania capitola dopo la conquista di Berlino da parte degli Alleati. Contemporaneamente in Danimarca a quasi duemila soldati prigionieri tedeschi (gli ultimi arruolati, quasi tutti poco più che adolescenti) viene ordinato di cominciare a sminare le spiagge danesi, lungo le quali l’esercito nazista aveva posato, nascondendole a pochi centimetri dalla superficie, la spaventosa cifra di due milioni di mine antiuomo e anticarro.

Fin da subito il film ci pone davanti, sobriamente ma spietatamente, a un comportamento feroce e ispirato a una giustizia che ha l’amaro gusto della vendetta. Gli ufficiali dell’esercito danese trattano i prigionieri tedeschi come animali, senza ombra di rispetto o compassione per il fatto di essere stati arruolati a forza e non avere oggettivamente alcuna responsabilità per quanto è stato fatto ai danesi; il desiderio di rivalsa dopo essere stati oggetto dell’invasione nazista e aver dovuto subire anche lo scempio dei propri confini ha la meglio su qualsiasi sentimento di umanità. Così, a essere sacrificati senza alcuna comprensione, vera carne da macello, saranno ragazzi ai quali viene negato il ritorno a quel che resta delle loro famiglie in un paese devastato. I figli dovranno pagare per le colpe dei padri, saranno vittime espiatorie di crimini che non hanno commesso. Saranno moltissimi a perdere la vita scavando la sabbia con le mani per trovare gli ordigni esplosivi e disinnescarli, di fronte all’indifferenza o allo scherno di uomini cui non importa niente del loro destino.

Paradossalmente il film di Zandvliet riesce a far provare più orrore in questa disumana normalità che nelle poche volte in cui mostra un’esplosione. Eppure, in questo quotidiano orrore che si svolge in pieno sole e in estate, su spiagge che reclamerebbero pacifici bagnanti invece che ordigni di morte, uno sprazzo di umanità è ancora possibile, quando un sottoufficiale, il sergente Rasmussen (Roland Møller) non riesce più a sopportare di comportarsi così spietatamente. Non tutti sono accecati dall’odio, non tutti si piegano al conformismo della vendetta. Andando contro regole e consuetudini, sarà ancora possibile guardarsi in faccia per quello che si è, vedere oltre le divise nemiche. Mostrare che, dopo la guerra, si può ricostruire.

 

Beppe Musicco