Val Melaina, estrema e povera periferia di Roma, nel periodo immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale: la famiglia Ricci è in festa perché Antonio, dopo due anni di disoccupazione, riceve finalmente dall’ufficio di collocamento un posto di attacchino; è però indispensabile il possesso di una bicicletta e Antonio la sua l’ha impegnata. Con l’ennesimo sacrificio la riscatta dal banco dei pegni e il mattino dopo di buon ora si reca in città, accompagnato dal figlioletto più grande, Bruno. Proprio mentre attacca i primi manifesti, un giovane, coperto da complici, gli ruba la bicicletta; Antonio si lancia all’inseguimento insieme al figlio.
Ladri di biciclette è uno dei più celebri film del neorealismo italiano, l’opera in cui è maggiormente evidente l’idea dello sceneggiatore Cesare Zavattini di “pedinamento della realtà”. Ispirato all’omonimo racconto di Luigi Bartolini, il film racconta la vita nella sua quotidianità: la ricerca di una bici rubata e l’imbattersi casuale nel ladro. Ciò che attrasse De Sica fu paradossalmente l’assoluta banalità del pretesto narrativo e ce lo segnala esplicitamente con orgoglio attraverso il dialogo in questura, al momento della denuncia, tra il cronista e il poliziotto: «Novità, brigadiere?» «No, niente: una bicicletta». Come a dire: solo chi ha talento può permettersi di raccontare la ricerca di una bicicletta per le vie di Roma per un’ora e mezza, senza che la vicenda perda per un istante il coinvolgimento del suo pubblico.
Oltre alla costante tensione che si sviluppa durante la storia, l’altro forte punto di interesse è il rapporto tra Antonio e Bruno, un padre e un figlio che insieme intraprendono la loro ricerca per le strade della periferia romana. La bicicletta diventa subito metafora di un avanzamento sociale, del riscatto per una famiglia che vive nell’indigenza. Antonio è visto attraverso gli occhi candidi di Bruno come un eroe che è riuscito ad ottenere un nuovo lavoro e che deve scontrarsi quotidianamente con i ladruncoli del quartiere che vivono di espedienti. Fiero di suo padre e del suo senso etico, non può sopportare di vederlo alla fine commettere un furto. La sofferenza del bambino, l’innocente che all’improvviso si trova in una situazione di ambiguità morale, è anche il monito per la società che scusa il gesto disperato del padre. E l’umiliazione per l’accaduto dipinta sul volto di Antonio sembra sciogliersi nello sguardo di Bruno e nella sua mano tesa in cerca di qualcuno che lo accompagni lungo le strade della vita.