Alexandre è il figlio modello di Jean e Claire: lui è un importante giornalista televisivo, traditore seriale e in procinto di ritirarsi; lei una saggista sostenitrice del femminismo radicale risposatasi con un professore di letteratura. Durante una cena, Alexandre ha occasione di conoscere Mila, figlia del nuovo marito della madre. Dopo cena i due escono insieme, diretti a una festa cui Alexandre era stato invitato. La mattina dopo il ragazzo viene arrestato per aver stuprato Mila: sarà l’inizio di un’odissea giudiziaria e mediatica che distruggerà ogni equilibro famigliare.

Presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia 2021 e tratto dal romanzo di Karine Tuil Les choses humaines (che è anche il titolo originale del film), L’accusa è un dramma giudiziario atipico e intelligentemente scritto sulla sottile linea che separa il bene dal male, il consenso dalla coercizione, la soggettività dalla realtà dei fatti. Lavoro coraggiosissimo e ben calibrato, il film di Yvan Attal si inserisce nel filone delle opere legate al #MeToo e alla giusta condanna della cultura dello stupro, aggirando però soluzioni semplicistiche e dedicandosi a problematizzare tematiche di profonda consistenza giudiziaria, esistenziale e umana: un rapporto sessuale apparentemente consenziente si consuma in uno sgabuzzino. Per lei, timida diciassettenne ebrea, si tratta di violenza; per lui, ventenne modello abituato ai rapporti occasionali, è un semplice incontro carnale. È davvero possibile delineare un’unica verità?

Da questo dilemma parte l’intero dramma giudiziario di Attal, durante il quale i due giovani protagonisti vengono interrogati, le loro abitudini analizzate, la loro presunta innocenza – o colpevolezza? – messa a giudizio; insieme a loro sono le vite degli adulti a essere smembrate, con l’intento – forse un pelo didascalico – di recuperare le ragioni, le origini e i traumi che stanno alla base dei comportamenti dei due ragazzi. Nessun manicheismo si ravvisa però in questo racconto, nessuna presa di posizione né tradimento della causa femminista. Solo un’onesta e ben condotta indagine sui meandri della condizione umana, su cosa voglia dire riconoscere le proprie mancanze e ammettere di aver commesso atti che, in un modo o nell’altro, con coscienza o meno che sia, hanno fatto del male a coloro che ci stanno intorno. Il dubbio e la sofferenza dilaniano tanto i protagonisti quanto i personaggi collaterali, interpretati peraltro da un cast d’eccezione: Ben Attal (il figlio del regista, che interpreta Alexandre), Charlotte Gainsbourg (che qui è Claire e che anche nella vita è madre di Ben, nonché  compagna di Yvan), Suzanne Jouannet (la giovane Mila) e Pierre Arditi (Jean, padre di Alexandre) e Mathieu Kassovitz (che fu giovane regista brillante ma che ormai da anni si dedica solo alla recitazione, qui nei panni del padre di Mila e marito di Claire). Tutti attori che, supportati da una messa in scena sobria e da una sceneggiatura solida, danno il meglio di loro nel rappresentare un dramma sociale di un’attualità che è impossibile ignorare.

Letizia Cilea

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