Guida (Júlia Stockler) ed Eurídice (Carol Duarte) vivono negli anni 50 a Rio de Janeiro con i loro severi genitori. Sono inseparabili, ma mentre Eurídice segue il sogno di diventare una pianista classica, Guida cerca il grande amore, al punto di scappare con un marinaio greco per sposarlo. Ritorna un anno dopo, sola e incinta; il padre, indignato dallo stato della figlia, le mente dicendo che Eurídice è andata a studiare pianoforte a Vienna, la caccia di casa e impone alla moglie il silenzio: la sorella non dovrà mai sapere che Guida è tornata.

E così le due – Eurídice è anche sposata adesso, e una gravidanza la costringe a rimandare i suoi veri sogni di studiare pianoforte a Vienna – trascorrono anni a vivere nella stessa città senza mai saperlo. Guida, convinta che la sorella ormai viva all’estero, le scrive lettere commoventi e le indirizza alla casa dei genitori ma queste, nascoste della madre, non la raggiungono mai. Guida vive in condizioni di povertà come madre sola, mentre Eurídice, che è più benestante, ha figli e una carriera pianistica, anche se non quella che desiderava. Insoddisfatta, ma convinta che la sorella viva felice in Grecia, passa il tempo a chiedersi perché questa non abbia mai dato notizie di sé. Alcuni incontri ravvicinati accidentali si verificano nel corso degli anni, ma nessuna delle due sorelle, è a conoscenza della vicinanza dell’altra.

Basato sul romanzo omonimo di Martha Batalha, La vita invisibile di Eurídice Gusmãopremiato a Cannes, sezione Un Certain Regard – offre una trama tipica del cinema brasiliano di genere: le sorelle separate dal destino sono un tema mutuato dalle soap opera molto popolari sui canali televisivi locali. Con una durata di due ore e venti, il ritmo però è piuttosto lento per uno spettatore europeo, e la storia spesso ne risente, trascinandosi e calando di interesse. Dove il film ha successo è l’atmosfera sfumata della Rio degli anni 50 e 60, con la bella fotografia dei panorami urbani, i locali, e la sua classe media portoghese in un declino che facilmente poteva scivolare nella povertà.

Le due protagoniste incarnano bene l’affetto, la nostalgia e la sofferenza della mancanza dell’altra, ma la tensione del film progressivamente va sgonfiandosi. La comparsa negli ultimi cinque minuti della grande Fernanda Montenegro (già nomination agli Oscar nel 1999 per il bellissimo Central do Brasil), in compenso è emotivamente molto coinvolgente, ma viene da chiedersi se basti come ragione per questa troppo lunga saga familiare.

Beppe Musicco