West Virgina: Jimmy Logan è un ex giocatore di football la cui carriera è finita a causa di un incidente che l’ha reso zoppo; lavora come minatore e cerca di passare più tempo possibile con la figlia, affidata alla custodia della madre e del nuovo compagno dopo il divorzio. Clyde Logan è il fratello minore di Jimmy, reduce dell’Iraq in cui ha perso un braccio,; ora fa il barista e condivide con Jimmy una vita di fallimenti nella miseria della provincia americana. Quando Jimmy viene licenziato a causa del suo handicap, i due decidono di compiere un furto colossale ai danni del circuito della Charlotte Motor Speedway dove Jimmy aveva lavorato a ricostruire le fondamenta. I due però, per riuscire nell’impresa, dovranno coinvolgere diversi strani personaggi: la sorella parrucchiera e pilota provetta, l’esperto di esplosivi Joe Bang (che però è in prigione) e i suoi due fratelli…

Steven Soderbergh, classe 1963, è uno dei più curiosi autori del cinema americano contemporaneo. Vincitore della palma d’oro a Cannes nel 1989 a soli 26 anni con Sesso, bugie e videotape, premio Oscar per la miglior regia nel 2000 con Traffic, Soderbergh (che dei suoi film firma con nomi diversi anche fotografia e montaggio) negli anni si è sempre alternato tra prodotti indipendenti (Bubble, The Girlfriend Experience) e grosse produzioni hollywoodiane dove ha sconvolto (con notevole successo) uno ad uno i diversi generi del cinema di intrattenimento americano (il thriller con Effetti collaterali, la fantascienza con Contagion e l’impossibile remake di Solaris, la commedia sentimentale con Magic Mike…). Tra tutti questi film però ha forse realizzato quello che è il più squisito capolavoro del cinema d’intrattenimento degli anni 2000, la trilogia di Ocean (Ocean’s 11, 12, 13), una saga di film ladreschi che negava tutte le regole del genere, pur rispettandole. Qualche anno fa Soderbergh aveva annunciato a soli 50 anni il suo addio dal mondo del cinema per dedicarsi ad un musical a Broadway su Cleopatra e alla serialità televisiva (con i risultati abbastanza grandiosi di The Knick e Mosaic, entrambe in onda su Sky Atlantic); ora ha cambiato idea e torna sui nostri (grandi) schermi con La truffa dei Logan. Meno male, perché si vede che Soderbergh ama troppo il cinema per rinunciarci.
Questo film si potrebbe definire una sorta di versione basso proletaria della trilogia di Ocean: dove là tutto era glamour, i ladri erano belli e intelligenti e i luoghi erano cartoline da favola, qui sono brutti, storpi e abbastanza stupidi, anche nella colonna sonora (curata entrambe dallo stesso compositore David Holmes) dove ai concerti alla Frank Sinatra si sostituisce il folk di John Denver. Anche la struttura è diversa e opposta: la genialità della trilogia stava nel sovraccumulo di narrazione, piste vere e false, colpi di scena, situazioni per poi togliere totalmente qualsiasi spessore ai personaggi riducendoli a maschere da feuilleton muto e realizzare così film di azione essenziale. Ne La truffa dei Logan invece la linea narrativa principale è piuttosto semplice, quello che interessano sono proprio le divagazioni dal centro: l’orso nella foresta, la rivolta in prigione, la guardiana extra large, i piloti delle auto; tutti episodi che esulano dal filone principale e che il regista maneggia con l’abilità di illusionista, per sviare l’attenzione, distrarre e poter far avvenire così la magia. Altra differenza strutturale sono i personaggi: non più figure, maschere, ma persone vere (da segnalare Riley Keough, vera nipote di Elvis Presley e perfetta ragazza del Sud), ma soprattutto Jimmy (un ottimo Channing Tatum l’unico membro del cast ad aver già più volte lavorato con il regista), vero motore narrativo e chiave di volta dell’intera struttura, perché il perno di tutto è proprio il suo amore per la figlia e il desiderio di volerle restare ancora accanto; cui fanno da grandiose spalle Adam Driver e un inedito e divertentissimo Daniel Craig. Sullo sfondo poi c’è tutta la povertà (non solo materiale) di certa provincia e dell’America di oggi, come raramente si vede nel cinema di Hollywood. L’America lontana dalle grandi città viene descritta come un luogo misero, abitata da persone o troppo stupide o frustrate dai fallimenti e da un Paese che non sembra voler avere clemenza.
Il risultato è un cocktail con le giuste parti di realtà e fantasia, in dosi corrette come si vedono solo nei film migliori, il tutto condotto con un ritmo dalla precisione mozartiana. Un gran film d’intrattenimento, e un intrattenimento intelligente come non sempre si vede.

Riccardo Copreni