Cosa succede quando l'anonima voce che accompagna i documentari della National Geographic è sostituita dal linguaggio caldo e remoto di un vecchio pastore mongolo? Si entra subito nella leggenda, in un'altra maniera di concepire la natura e il mondo. Con un notevole sforzo per la costruzione narrativa, i due giovani registi (un italiano e una natia del luogo) hanno saputo dirigere con distaccato lirismo un accurato documentario antropologico. La vicenda di una mamma cammello che rifiuta il proprio cucciolo in seguito a un parto doloroso diventa il pretesto per raccontare un angolo di mondo e i suoi abitanti: il deserto del Gobi in cui vivono gruppi di pastori in semplici e dignitose tende. ,In questa società così lontana dalla nostra, in cui la semplicità della vita permette una visione più immediata dell’essenziale, protagonista è la famiglia come nucleo fondativo dell’umanità. Sono le semplici attività quotidiane di un ristretto nucleo familiare a incantarci: il lavoro giornaliero ripartito tra i diversi componenti, l’attenzione nell’educazione dei figli, il rispetto per gli anziani. Gesti semplici e armoniosi che sanciscono il ruolo di ciascuno, codificato da una tradizione che si reitera ogni giorno. Intanto, fuori dalla tenda, si continua a sentire la sofferenza di chi sembra non poter godere dell’amore familiare. Il lamento del cucciolo allontanato dalla madre diventa il monito, iscritto nella stessa natura, di chi respinge il naturale corso degli eventi. Solo una musica magica di un suonatore di violino riuscirà a commuovere la madre pronta a riconoscere il proprio piccolo, riportando l’armonia in quello sperduto angolo del deserto. Anche se, a discapito della tradizione e dell’unità della famiglia, incede la cultura contemporanea (qui rappresentata dalla televisione): un presagio funesto per chi è abituato a una realtà più diretta.,