All’interno di una base militare, nei pressi di Londra, i soldati dell’esercito inglese vivono in piccole villette con le loro famiglie, nell’attesa di essere chiamati nuovamente per una missione all’estero che li terrà separati dai propri cari per mesi e mesi. In seguito alla partenza per l’ennesima missione in Afghanistan, un gruppo di donne decide di dedicare i cinque mesi che li separano dal ritorno dei loro mariti alla creazione di un coro, un’iniziativa che avrà dei risvolti sorprendenti e che metterà alla prova la loro preparazione in modi che mai si sarebbero potute immaginare. Una storia vera che ha dato il via all’iniziativa delle military wives, cori amatoriali formati dalle mogli degli ufficiali attivi sul fronte che attualmente contano più di duemila componenti in tutto il paese.
Sono passati ben ventidue anni dal successo di quel pazzo film che è stato Full Monty, dove sei operai spiantati e disoccupati si improvvisano ballerini di striptease – con nudo integrale – ottenendo così un grandissimo successo durante la loro prima esibizione pubblica. Il film era stato un caso nazionale in Inghilterra e aveva conquistato i cuori degli spettatori per la sua ironia e la sua genuinità ben confezionata. Non va a parare molto lontano da questi intenti, né dalle stesse strutture narrative, il nuovo film di Peter Cattaneo, che torna infatti a concentrarsi su un soggetto abbondantemente esplorato dal genere della commedia inglese e non solo: un gruppo di personaggi in situazione di difficoltà – spesso rappresentativi di una classe o di una situazione sociale ben precisa – riesce a creare con la cooperazione di tutti qualcosa di rivoluzionario e inatteso, iniziative che spesso vanno a valorizzare proprio quella condizione di sacrificio, per dimostrare la capacità di resilienza e la forza di volontà che spesso sostiene le piccole comunità.
Le mogli dei soldati in missione in Afghanistan animano la comunità creata da Cattaneo in La sfida delle mogli (uscito direttamente sulle pricipali piattaforme on demand), donne dedite alla famiglia che accettano di mettere a rischio la vita dei loro mariti e la propria tranquillità per garantire un servizio al paese: questa scelta comporta un grande spirito di sacrificio, nervi saldi e una certa dose di pazienza, perché quando i soldati sono sul fronte toccherà a loro darsi da fare, tenersi compagnia e offrirsi un supporto psicologico nella speranza di non ricevere cattive notizie dal fronte nel cuore della notte. Appuntamenti di cineforum, sessioni di cucito, club di lettura e di cucina, tra le tante attività proposte dalle componenti di questa sorta di gruppo di auto-sostegno spicca l’iniziativa di Kate, la moglie-alfa della comunità, che prova con tutte le sue forze a mettere su un coro, amatoriale ma organizzatissimo, per distrarre le sue compagne dall’angoscia di possibili scenari futuri. Al suo fianco, in un simbiotico rapporto di amore-odio, Lisa, caotica neoresponsabile delle iniziative del gruppo, moglie di un sergente e madre di un‘adolescente arrabbiata. I siparietti musicali creati a partire da questo espediente sono deliziosi e fanno tutto il succo del film, che pur mancando completamente della volontà di deviare da un prevedibilissimo percorso verso l’happy ending, non si esime dall’aprire delle finestre interessanti sulle più profonde ferite delle due protagoniste principali, interpretate dalla sempre perfetta Kristin Scott Thomas, nei panni di Kate, e dalla sorprendente Sharon Horgan in quelli di Lisa.
Litigi, rotture e fallimenti sono poi all’ordine del giorno, e spiace quasi che nel voler mettere in scena una storia nel massimo della conciliazione ci si perda per strada alcuni personaggi secondari, che avrebbero potuto dare una maggiore varietà alla narrazione e che invece vivono della pura superficie del loro contributo vocale all’interno del coro. Alcuni focus più centrati e originali si possono recuperare nello sguardo compassionevole che il regista dedica alla solitudine di queste donne, spesso colte in gesti semplici e pieni di nostalgia, dai pacchi regalo fatti per i propri mariti alle serate passate ad acquistare prodotti in televendita per colmare la loro assenza fisica. Ma attenzione a non sovra interpretare, perché non ci sono messaggi politici o complesse sotto-narrazioni per le quali scervellarsi: lasciate alle spalle le complicazioni intellettuali, è la cura della confezione e la spontaneità dei buoni sentimenti a dominare la scena; a grande immediatezza corrisponde però un altrettanto impegnativo lavoro di sofisticazione, che qui colpisce nel segno coinvolgendo la curiosità e la passione dello spettatore. Nei momenti clou dell’impresa non si potrà infatti non sentire vicine queste donne, ci si ritroverà a fare il tifo per loro nei momenti di difficoltà e si arriverà a gioire con loro nel momento del successo: gustandosi così un paio d’ore di puro intrattenimento, accompagnate, magari, da una tazza di tè e biscotti in una domenica pomeriggio.
Letizia Cilea