Benedetta Barzini è un volto che non si dimentica facilmente. Specialmente ora che le rughe hanno riempito il viso e le sue parole sono diventate taglienti, i toni sferzanti e i desideri lontani, opposti da quelli di una volta. La scomparsa di mia madre non è un titolo rassicurante. Conduce alla nostalgia, la stessa, forse, che il regista Beniamino Barrese ha dentro di sé e la porta dentro il film per raccontare sua madre Benedetta Barzini: una donna che oggi, all’età di 76 anni, sente di aver fatto tutto quello che doveva fare.
Prima top model italiana, volto amato da pittori come Salvador Dalì e artisti come Andy Warhol, da fotografi come Richard Avedon (autore degli indimenticabili ritratti delle star di Hollywood), Benedetta Barzini conosce il peso dell’essere donna, lei che è classe 1943, in una società che della donna ammira la bellezza e non riconosce l’intelligenza.
Beniamino Barrese la riprende – lo ha sempre fatto sin da quando era bambino – e la segue anche ora nel suo quotidiano infestato da una casa occupata da oggetti, libri e ricordi, e da una società troppo presente che continua ad ammirare ciò che è bello, ciò che è fotografabile, ciò che non muore mai. Eppure Benedetta Barzini, che ammette di voler scomparire, o meglio di voler fuggire lontano dove nessuno la può raggiungere, è una presenza importante nella società di oggi. Insegna in università Storia dell’abito e Antropologia della Moda. Lo fa risvegliando le coscienze degli studenti, con elementi storici ma anche con le sue riflessioni argute, con le sue interrogazioni dirette: «Quale è l’abito del silenzio? Perché l’imperfezione dà fastidio? Cosa è l’ossessione della bellezza? Perché le donne vogliono apparire sempre giovani? Cosa vuol dire vecchiaia?».
Lei, invece, non ha paura delle inquadrature dirette, di essere sé stessa anche se il figlio la insegue con la sua macchina da presa. Le fa domande, svela particolari intimi e indaga anche quando la madre, ora alzando il tono della voce, ora scherzando insieme all’amica di sempre attrice e modella Lauren Hutton, gli chiede di spegnere la macchina da presa.
La scomparsa di mia madre, che ha avuto la sua prima mondiale (come unico titolo italiano) al Sundance Film Festival e che poi ha girato numerosi festival internazionali, è un documentario che colpisce lo spettatore, anche quello più giovane, abituato ai canoni della perfezione e della paura di perdere il proprio posto nel mondo. Non edulcora il rapporto, a volte idilliaco e a volte difficile, tra madre e figlio, smaschera l’inutilità del potere e il macigno di una realtà dove il corpo della donna (anche se a volte raccontato con un punto di vista manicheo) può indurre a dimenticare quanto sia importante essere una persona libera e vera.
Emanuela Genovese