Laura (Ambra Angiolini) lavora al conservatorio ed è sposata con Giorgio (Raoul Bova), cuoco e gestore di un locale nel centro storico di Bisceglie. Belli, innamorati e affiatati, desidererebbero tanto avere un figlio che non arriva. Il giorno del suo compleanno, tornando a casa, Laura viene aggredita e sparisce per alcune ore. Ritrovata dai carabinieri, non sporge alcuna denuncia formale ma è evidente che qualcuno l’abbia violentata. La felicità s’incrina, il ritorno alla normalità è impossibile, non solo per il trauma subito ma anche perché Laura, come reazione, erige attorno a sé una barriera di incomunicabilità. Anche Giorgio fatica a ritrovare con lei dialogo e complicità, benché Laura accetti di rifare l’amore con lui pochi giorni dopo lo stupro. Il dramma esplode quando, poche settimane dopo, Laura scopre di essere incinta: Giorgio crolla, schiacciato dalla sua fragilità, dicendosi impreparato alla possibilità di accogliere un figlio che non sia suo. Laura si chiude ancora di più in se stessa, vedendosi circondata da persone (il marito in primis, ma anche la sorella, la madre, gli amici) che non capiscono il suo tumulto interiore, danno per scontate soluzioni drastiche e sottovalutano – scambiandolo per egoistico – un desiderio di fecondità e maternità legato solo all’amore.,Michele Placido, senz’altro più a suo agio con robusti film di genere (Romanzo criminale resta il suo più riuscito), si cimenta a undici anni dal discusso Ovunque sei (2004) con un altro adattamento pirandelliano. All’origine de La scelta c’è il dramma teatrale L’innesto, in scena nel 1919 ma pochissimo rappresentato, che la sceneggiatura del regista e di Giulia Calenda (che ha scritto il film durante una gravidanza) aggiorna il meno possibile nelle scene e nei dialoghi, creando qua e là indesiderati effetti retrò (che sembrano ripercuotersi anche nello stile). Impossibile non confrontare la vicenda di Laura, che accoglie nel suo grembo un figlio che quasi certamente non è di suo marito, con quella della disinibita sorella Francesca (Valeria Solarino), che serenamente convive con due diversi uomini consenzienti (uno spunto che Placido definisce “da commedia” ma che, senza approfondimenti, si rubrica da solo nel ridicolo involontario). Eppure Placido non sembra interessato a un discorso sulle due anime del sud Italia, quella ancestrale e quella ultra-progressista, e neanche a ragionare sulla crisi dell’univocità dell’amore. Punta la lente sulla frattura all’interno della coppia, sul viscerale desiderio di maternità della donna, sullo sgomento dell’uomo “derubato” della paternità, e sul dialogo tra sordi che si stabilisce tra i due finché, in entrambi, qualcosa cambia. Forse manca a questo film, però, un universo narrativo a tutto tondo in cui immergere le azioni e far crescere i personaggi: Placido realizza un bel primo atto abbastanza coeso (e la scena che precede l’aggressione, immersa non nel buio come ci aspetteremmo ma nella luce, è un buon momento di cinema) ma poi sfilaccia il racconto attraverso un montaggio fatto di frammenti, scossoni ed ellissi, in cui si arriva alla “scelta” del titolo senza essere aiutati a capire come i protagonisti l’abbiano maturata. Mancando un giudizio (che è sempre “generativo”) manca l’architrave del film. Neanche la confezione del film aiuta a “entrare” nella storia: lo studio dei caratteri rimane sviluppato a metà e, se Ambra Angiolini se la cava bene nel ruolo della donna tormentata, il protagonista maschile avrebbe voluto un interprete dalle spalle più larghe di Bova. Così un film che dovrebbe emozionare per la sua intensità non fa che accumulare espedienti retorici di dubbia riuscita (ralenti sottolineati da musiche ridondanti, troppi campi lunghi sul porto di Bisceglie, per indicare il passaggio del tempo…). Anche il melodramma funziona secondo certe regole ma Placido dimostra di non padroneggiarle molto bene., ,Raffaele Chiarulli,