Tratto da un noto romanzo di Denis Diderot, che aveva ispirato nel 1966 un film di Jacques Rivette a suo tempo oggetto di forti contestazioni, la pellicola di Guillaume Nicloux è animato di un anticlericalismo astioso e battagliero che appare oggi per lo meno anacronistico. Passata in concorso al festival di Berlino, per un curioso gioco del destino, lo stesso giorno in cui, con un gesto di imprevedibile libertà che ha lasciato il mondo a bocca aperta, Benedetto XVI ha rinunciato al Pontificato, la gelida ed esangue pellicola del regista francese soffre di un dogmatismo (comune al suo antecedente letterario), che neppure la convincente interpretazione della sua giovane protagonista e di un bel gruppo di comprimari (anche se ci sarebbe molto da dire su quella divertitamente perversa della Huppert) riesce a riscaldare e a rendere davvero rilevante per l’oggi.,La vicenda di Suzanne, una specie di monaca di Monza d’Oltralpe senza le tentazioni della carne (e senza i profondi dilemmi morali del personaggio manzoniano, dato che il suo ruolo di vittima di fatto congela la protagonista in un’unica, seppur drammatica, posizione), serve ad illustrare nel dettaglio (e spesso con un certo compiaciuto didascalismo) le storture del sistema dell’epoca, con la Chiesa pronta ad accogliere (e a poi più o meno amabilmente trattenere) nel suo abbraccio fanciulle più o meno dotate di autentica vocazione, spesso spedite nel chiostro per risolvere problemi di divisioni ereditarie o, come nel caso di Suzanne, per espiare peccati altrui…,Che si tratti di un’anziana suora dalla fede limpida, fiduciosa nella sua capacità di persuasione nei confronti delle novizie, di una badessa tanto bella quanto spietata e bigotta, o di una madre superiora simpatica ma dalle tendenze sessuali non troppo eterodosse, la vita del monastero per Suzanne non è altro che una differente manifestazione dell’inferno e fa sorpresa che in tutto questo la ragazza non perda mai davvero la fede in Dio se non nei suoi rappresentanti.,Nell’insistita rappresentazione delle pene fisiche cui è sottoposta la fanciulla per piegarla, così come nel diffuso bigottismo di coloro che la circondano, non si scorge mai un’autentica manifestazione di spiritualità, al meglio qualche barlume di umanità, spesso soffocato dalla paura di un sistema repressivo dove la luce dei Lumi ancora fatica a farsi strada.,La regia corretta ma non entusiasmante si mette semplicemente al servizio di una premessa ideologica per lo meno sospetta ed è forse questo che appesantisce l'operazione, impedendo ad alcune invenzioni di fotografia di andare oltre un’estetica sterile, quasi che il regista (che annovera tra i suoi titoli precedenti L’eletto, grandguignolesco pasticciaccio tra fantascienza, sette e spionaggio) avesse da farsi perdonare gli exploit commerciali con una cura formale che puzza un po’ di muffa.,Laura Cotta Ramosino