Ad Avechot in una notte di nebbia un uomo fa un pauroso incidente d’auto: è incolume, ma i suoi abiti sono sporchi di sangue. L’uomo si chiama Vogel (Toni Servillo) e fino a poco prima era un famoso poliziotto. Il mite psichiatra locale (Jean Reno) cerca di fargli raccontare l’accaduto, ma la storia inizia mesi prima, quando due giorni prima di Natale una ragazzina sedicenne di nome Anna Lou scompare misteriosamente. Vogel è mandato a indagare, il suo metodo prevede l’uso dei mass media come strumento di persecuzione. Un metodo che gli si ritorcerà contro, perché la tranquilla cittadina di montagna nasconde un groviglio di segreti, un mostro nella nebbia… Ma «il peccato più sciocco del diavolo è la vanità».

Esordio alla regia dello scrittore di successo Donato Carrisi con un film molto ambizioso ed affascinante, La ragazza nella nebbia. Il “giallo” è un genere storico del cinema italiano che negli ultimi decenni si è un po’ andato a perdere: si ricordano solo alcuni discutibili lavori (“alla maniera di”) di Federico Zampaglione e Alex Infascelli e opere che usano il “giallo” come travestimento per operazioni “autoriali” come La ragazza del lago e La migliore offerta. Carrisi, invece, i lavori dei padri del genere, come Dario Argento, Mario Bava e Lucio Fulci, li ha bene in mente (suo aiuto regista è Roy Bava, nipote di Mario) soprattutto in molte scelte stilistiche più estreme: l’uso delle luci, l’atmosfera… Ma i suoi modelli sono più internazionali e moderni. Lo sceneggiatore-regista prova a fare un pastiche: Gone Girl di Fincher, I fiumi di porpora, lo spagnolo La isla minima, un po’ Twin Peaks e un po’ Il silenzio degli innocenti… Il risultato? Affascinante, appunto. In un film molto complesso a livello narrativo, la storia è intrigante e raccontata con passo veloce: non sempre è facile seguire i diversi piani piani temporali e tutti i plot twist finali, forse qualcosa è irrisolto, probabilmente qualcosa sfugge allo spettatore. Ma non è questo il problema, nei migliori gialli conta il mistero più che la soluzione. In diversi passaggi inoltre emerge la ricerca di sottotesti più gravi, sulla strumentalizzazione dell’orrore da parte dei media, e il tentativo di un apologo sulla banalità del male.
La recitazione generale è di gran lunga superiore a quella di molti film italiani. Servillo, nei panni di Vogel si conferma essere di gran lunga il più grande e versatile attore italiano di oggi; Alessio Boni come professor Martini è nel ruolo della carriera; e anche Jean Reno in ruolo minore è credibile (nonostante l’accento) e dà alla pellicola un taglio ancor più internazionale.
Il film ha una cura stilistica come in Italia non si vedeva da molto in un film di genere e per il pubblico: la fotografia è elaborata nei colori e nelle ombre (come nella miglior tradizione del genere), la regia di Carrisi ha eleganza e finezza. La suspense c’è, il giallo funziona, il taglio è (finalmente!) internazionale e vendibile anche all’estero, cosa gli si poteva chiedere di più?
Non sarà un capolavoro, ma è un film di cui il cinema italiano aveva bisogno.

Riccardo Copreni