Una favola moderna, ambientata tra una popolazione Maori della costa della Nuova Zelanda ancora legata a vecchie leggende. Mescolando l’humus culturale di Once were warriors (ma senza tragedia, anzi con il dramma che si ricompone) e il gusto del mito moderno come in Il segreto dell’Isola di Roan, il film della regista Niki Caro racconta il destino di un capo. Un capo particolare, ovvero una ragazzina che, suo malgrado deve accettare il suo destino di capo del suo popolo, poiché discendente del leggendario antenato Paika (arrivato migliaia di anni fa a dorso di balena). Lei, in realtà, già sofferente per l’abbandono di un padre (scosso dalla morte della moglie e del figlio maschio proprio durante il parto gemellare in cui sopravvive lei) debole e incapace di accettare le stimmate del comando, ne è serenamente consapevole. Ma il nonno, capotribù legato a una “forma” conservatrice (il capo deve essere maschio), non ne vuole sapere di prendere in considerazione l’ipotesi di un capo “femmina”.
Bun film, interessante, non originalissimo (si vedano i due film citati, nettamente superiori), ma comunque ben raccontato e “pulito”, La ragazza delle balene non sfigurerebbe in cineforum e rassegne per ragazzi. Gli manca qualcosa per ambire a interessare un pubblico vasto, però tutto sommato si fa apprezzare questo racconto di crescita e iniziazione al comando, un po’ troppo “corretto” (sembra perfettamente pensato per il pubblico internazionale, ma manca come si diceva di una personalità originale) ma che ha il merito di segnalare una protagonista adolescente davvero brava e a tratti toccante. E la scena delle balene che si lasciano morire sul bagnasciuga è visivamente potente.
Antonio Autieri