Il passaggio di un treno collega le storie di tre donne apparentemente diverse, in realtà accomunate da un destino di solitudine e infelicità. Tutte le mattine e tutte le sere, sul treno c’è Rachel. Seduta di fianco al finestrino, non riesce a distogliere lo sguardo quando passa di fronte a quella che un tempo era la sua casa, dove oggi Tom, il suo ex marito, si è rifatto una vita assieme a un’altra donna. Incapace di accettare la fine del suo matrimonio, Rachel è ormai un’alcolista e perseguita il suo ex tempestandolo di chiamate e messaggi. Tuttavia, quando il treno sfreccia lungo quel tratto di strada, non è la casa di Tom che gli occhi di Rachel cercano per prima, ma un’altra villa poco distante: quella di Megan e Scott, due innamorati giovani e attraenti, che Rachel ha idealizzato come la coppia perfetta. In realtà, sia Megan che Anna (la nuova moglie di Tom) non sono così felici come crede Rachel. Una sera Rachel si ubriaca e il mattino dopo si risveglia coperta di sangue, non ricordando nulla della notte precedente, se non che era scesa dal treno con l’intenzione di seguire Megan. Poco dopo, scopre che Megan è scomparsa. Il terrore di aver commesso una follia inizia a divorarla.

Recitando con lei ne Il Diavolo veste Prada, Meryl Streep disse di Emily Blunt che era una delle giovani attrici più talentuose con cui avesse mai lavorato. Dopo tanti ruoli secondari, solo di recente la Blunt ha iniziato a ottenere parti più impegnative, come quella dell’infelice Rachel: un ruolo che, sebbene non scritto benissimo, le permette di sfruttare il suo talento drammatico. L’interpretazione della Blunt è a nostro avviso un valido motivo per vedere questo film.

Adattamento cinematografico del bestseller omonimo di Paula Hawkins, si tratta di un giallo psicologico che si costruisce attorno alle riflessioni introspettive delle protagoniste (Rachel soprattutto, ma anche Megan e Anna). Non trovando evidentemente un mezzo più efficace per portarci dentro la psiche delle tre donne, la sceneggiatura fa spesso ricorso alla voce fuori campo, espediente che appesantisce diversi passaggi, risultando fin da subito un po’ invadente. Inoltre, nonostante si cerchi di disorientare lo spettatore circa gli sviluppi dell’indagine, le svolte narrative sono piuttosto prevedibili.

Il finale sottolinea la vocazione della storia ad analizzare e mettere in risalto la cosiddetta prospettiva femminile, di cui Rachel, Megan e Anna rappresentano tre declinazioni. Tutte e tre donne, tutte e tre dipendenti da un uomo o, più in generale, condannate in modi diversi a un rapporto di subordinazione nei confronti del sesso maschile. L’interpretazione finale della vicenda, cercando di valorizzare le sfumature del punto di vista femminile, finisce invece col semplificare la complessità dei personaggi, riducendo la loro caratterizzazione all’appartenenza di genere (e al loro rapporto col genere opposto). Una scelta che, se da una parte conferisce una “morale” alla storia, dall’altra si accartoccia su un simbolismo fine a se stesso.

Maria Triberti