È il 21 dicembre, una carovana trasporta un fantoccio di paglia verso un colle e lo pone in cima a un cumulo di alberi secchi: lo spietato “Zio Inverno” è pronto per essere bruciato e lasciare spazio alla primavera. Per l’occasione, come ogni anno, un intero villaggio di campagna ha abbandonato i consueti mestieri e con gioia si appresta ad accogliere la bella stagione. Ma accade un fatto bizzarro: nonostante i ripetuti tentativi, il cumulo non prende fuoco e il rito non si compie. L’episodio getta un’ombra di morte sul paesaggio rurale che, sotto lo sguardo impotente della comunità, si riduce in breve tempo a una terra desolata. I galli si rifiutano di cantare, le mucche non danno latte, il terreno è sterile, gli alberi cadono… I paesani, sempre più annichiliti dalla situazione, fanno ricadere la colpa sull’ultimo arrivato, l’apicoltore (ex filosofo) Pol.,L’accuratezza riservata all’aspetto visivo della rappresentazione evoca l’esperienza in campo documentaristico dei due registi belgi, snodandosi tra ampie visioni paesaggistiche e ritratti ravvicinati, quasi claustrofobici. La netta preponderanza delle scene mute su quelle dialogate, l’impressione complessiva di fissità e il largo uso di simboli e allegorie, inoltre, fanno somigliare La quinta stagione più a un’opera di video art che a un film per il cinema: un’opera molto interessante, ma dal linguaggio un po’ criptico.,Fulcro del racconto è il rapporto tra natura e civiltà; quando la prima si ribella al dominio dell’uomo, anche la seconda va allo sfacelo, e caos e violenza prendono il sopravvento. Se i giovani Thomas e Alice si distinguono dalla massa perché, seppur invano, cercano di sottrarsi al declino, il paraplegico Octave (interpretato da Gill Vancompernolle, realmente affetto da sindrome di Little) ne è immune, in virtù della propria purezza di cuore. Il ruolo più importante è però certamente quello di Pol, novello Giona ma anche e soprattutto martire: non è azzardato ipotizzare addirittura un riferimento cristologico nella sua figura, se si guarda al brano che chiude il film, il coro d’apertura della Passione secondo Giovanni di Bach. Forse è soltanto rimanendo sulla falsariga di quest’interpretazione che potremmo liberare le enigmatiche immagini finali (che naturalmente non riveliamo) dal pessimismo catastrofico che anima il resto del film. ,Maria Triberti,

La quinta stagione
La sventura si abbatte su un piccolo paese nelle Ardenne