Discreto thriller venato di noir diretto da uno sceneggiatore di un certo successo (Scott Frank, già autore degli script di Minority Report e Io e Marley). L'incipit è di sicuro effetto: in una New York cupa e spettrale si consuma un terribile omicidio in un bar. Interviene un poliziotto (un irriconoscibile Liam Neeson, sguardo truce e baffi spioventi) ed è caccia spietata ai killer. La sequenza di chiusura, dove l'eroe cupo giganteggia dall'alto di una scalinata, oltre a essere un pezzo di bravura del direttore della fotografia (Mihai Malamare jr, già al lavoro in The Master e negli ultimi film di Coppola), è anche una presentazione sintetica suggestiva del protagonista, eroe scuro e violento più vicino alle zone d'ombra de Il giustiziere della notte che ai tanti, romantici e sconfitti protagonisti del noir letterario pur citati, anche espressamente, più volte. Salto narrativo di qualche anno e ci troviamo di nuovo di fronte a Neeson. Solo che ora è più vecchio, più curvo, più stanco. Non è più un poliziotto ma un detective privato che viene contattato da un tipo strambo, fratello di un uomo a cui hanno rapito la moglie. Non sarà il solo, purtroppo. ,Frank dirige e sceneggia senza troppa personalità. I flash-back con cui costruisce l'azione sono molto schematici, specie l'ultimo sul finale, che mette insieme in modo un po' improbabile i problemi con l'alcol di Neeson con la punizione dei colpevoli; si perde in qualche velleità inutile, come nel dilungarsi sul corpo della donna rapita sui titoli di testa e, dal punto di vista della scrittura, lavora solo di cliché sui personaggi collaterali: i cattivi, brutte copie del Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti e quasi tutte le figure di secondo piano, poco incisivi e poco credibili nella loro evoluzione psicologica. Le cose vanno meglio con la strana coppia formata da Liam Neeson e Astro, al secolo Brian Bradley, un ragazzino abbandonato e con la “fissa” per i romanzi neri. Funzionano meglio di tutti perché alle prese con personaggi scritti meglio, con motivazioni più o meno chiare e un passato da riscattare e perché incarnano con realismo le loro figure. Neeson che ormai da qualche anno si cimenta sempre di più nel cinema di genere e thriller (Io vi troverò, The Grey) è carismatico e ombroso, perfetto per un ruolo che guarda in più di un'occasione ai vari Marlowe e Sam Spade. Il secondo rende bene tutta l'ambiguità che percorre il film, per cui si può combattere il male con una divisa e una pistola per puro ideale, tranne poi risvegliarsi nel mezzo di un incubo oscuro con le mani lorde di sangue e tante morti sulla coscienza. I due da soli tengono in piedi un film poco equilibrato, pregevole dal punto di vista visivo, molto più debole e ovvio sul piano della narrazione e della definizione dei “cattivi” tanto crudeli e violenti, quanto stolidi e senza ragioni nel compiere le proprie azioni di sangue. Una mancanza, quella della verosimiglianza per quanto riguarda i maniaci, che è il neo più grande di un film. Un cattivo “improbabile” o semplicemente inefficace è il peggior delitto che possa essere fatto a un thriller.,Simone Fortunato