Al secondo film, dopo l’esordio interessante de La ciénaga, l’argentina Lucrecia Martel non convince. Quello che dovrebbe essere un melodramma incompiuto, una storia di amore e malsana seduzione tra un’adolescente combattuta tra catechismo cattolico e tempeste ormonali e un medico maturo, padre di famiglia, rispettabile fino a un certo punto, appare come una storia ripetitiva, poco coinvolgente, difficile da seguire da una punto di vista narrativo. Un accumulo di personaggi, mai approfonditi nella caratterizzazione (nemmeno i tre protagonisti mostrano una caratterizzazione psicologica verisimile), continui e bruschi stacchi di montaggio accompagnati da un simbolismo il più delle volte gratuito, rendono il film indigesto ad uno spettatore che cerchi di venire a capo di una storia che presenta diversi momenti irrisolti. E anche da un punto di visto ideologico il film prodotto da Pedro Almodovar dice poco e scandalizza ancor meno. Perché appare solo artefatto il misticismo vocazionale della protagonista così non è mai convincente il presunto dramma tra fede e sesso di questa ragazza maledetta.

Un film festivaliero, nel senso più brutto del termine, cioè preparato e confezionato ad hoc per critici che vivono di solo cinema, e che annoierà senza speranza anche lo spettatore più paziente, in cerca di un film impegnato, serio e – perché no – anche provocatorio.

Simone Fortunato