Nel 1985, Joe Simpson e Simon Yates, due giovani alpinisti inglesi, tentarono di raggiungere la vetta del Siula Grande nelle Ande peruviane, alta circa 6500 metri. Per una serie di eventi drammatici che segnarono la scalata, la loro storia è entrata nella leggenda dell’alpinismo. Joe Simpson, il vero protagonista della vicenda, pochi anni dopo la sfortunata avventura, decise di scrivere un libro che raccontasse la sua odissea ad alta quota. Il risultato fu un bestseller tradotto in diverse lingue, ancora oggi molto conosciuto e molto venduto. A distanza di vent’anni, i due amici scalatori, hanno deciso di trasformare il libro in un film. E il risultato non delude lo spettatore. Muovendosi all’interno di una struttura narrativa che viaggia sul confine tra film e documentario, che alterna i primi piani dei due scalatori che raccontano in prima persona i loro ricordi al vero e proprio “racconto filmato” della vicenda (dove due attori interpretano i ruoli di Simpson e Yates), il regista (Kevin MacDonald, noto documentarista scozzese) riesce a mantenere un solido equilibrio tra le immagini spettacolari delle cime, splendidamente fotografate, e lo spessore drammatico del racconto. Ed è proprio nei fatti accaduti e nella loro narrazione che risiede il vero fascino del film. Ciò che capitò ai due amici, infatti, è qualcosa che va oltre il rischio, il pericolo o la paura che fanno sempre parte di una difficile arrampicata in montagna. Ciò che accadde non fu un semplice incidente, ma un fatto che mise in crisi la coscienza dei due e infondo anche la loro “concezione morale” della vita. La domanda arriva come una mazzata sullo spettatore: che cosa avremmo fatto noi al posto di Simon? Si può vivere con un tale peso sulla coscienza? Quante volte può capitare nella vita, ad ognuno di noi, di dover prendere una decisione simile? Domande alte e difficili, che fanno riflettere. E tra inquadrature strette su corde che passano nei moschettoni e ramponi che si infilzano nel ghiaccio, tra piccozze che faticano a entrare nella neve e splendide stellate notturne, tra crepacci profondi ottimamente ripresi e terribili bufere di neve, restano impressi i volti dei due alpinisti che nonostante i vent’anni che sono passati, non riescono ancora a nascondere la commozione e la difficoltà di un ricordo così sconvolgente. E alla fine, tra sensazioni diverse, ciò che resta più di ogni altra cosa è una sola morale: più ti senti vicino alla fine, più ti senti attaccato alla vita.,Francesco Tremolada,