Piccolo gioiello di animazione a passo uno (o stop-motion), La mia vita da zucchina è tratto dal  romanzo di Gilles Paris Autobiographie d’une courgette, mentre l’adattamento è stato curato per il regista svizzero Claude Barras dalla regista e sceneggiatrice francese Céline Sciamma. La storia è quanto mai drammatica per un film di animazione: il piccolo Icaro, che la mamma chiama Zucchina, gioca da solo nella sua stanza mentre la mamma beve come sempre davanti alla tv; e intanto impreca contro gli uomini mascalzoni, come quel marito scappato via che aveva la passione per le “pollastre”. Il papà manca al bambino, che però a causa di un incidente rimane definitivamente solo al mondo (senza forse nemmeno rendersene conto, all’inizio). Si ritrova così, impaurito e triste, in una casa famiglia, con qualche educatore e tanti bambini come lui: tutti con storie orribili alle spalle. Su tutti spicca Simon, bullo e aggressivo, che spadroneggia su tutti e che lo prende di mira. Ma anche lui ha le sue sofferenze alle spalle: capirsi non sarà così difficile. E quando arriva Camille, una dolce bambina con cui fare amicizia, le cose iniziano a diventare più belle. Senza contare quel poliziotto gentile che continua a venirlo a trovare… C’è ancora speranza per Zucchina e i suoi amici.

Non sappiamo quanto sia indicato questo film per un pubblico di bambini: l’opera prima di Barras, toccante e ricca di sensibilità, ci sembra più indicata per educatori che per ragazzini. Si parla di morte (anche nella variante dell’omicidio, cui una bambina assiste), si accenna alla pedofilia, c’è pure una (per quanto buffa) disquisizione sul sesso. Certo, per come possono parlare i bambini di cose più grandi di loro, ma certo fa impressione la dolcezza della storia e dello sguardo e la durezza di alcuni riferimenti. Nel caso, è consigliabile un’adeguata preparazione anche in un contesto scolastico.

Sicuramente La mia vita da zucchina colpisce, d’altro canto, per la possibilità di utilizzare una tecnica “infantile” come i pupazzi animati per raccontare una storia così profonda, in cui un bambino si trova all’improvviso sperduto in un luogo sconosciuto e senza affetti. Ma sa attaccarsi a quelli che trova, dall’educatrice che gli regala un bacio della buonanotte al poliziotto – anche lui rimasto solo – che non viene a trovarlo per obblighi professionali fino al bullo che in fondo ha solo bisogno di amore («Non abbiamo nessuno che ci vuole bene»). Ed è commovente Camille che sa riconoscere il bene trovato perfino in un percorso così brutto e doloroso: «Se non fossi stata qui, non ti avrei conosciuto». Un piccolo (anche per durata) grande film, che tratta i drammi di un’infanzia violata con poesia e mostra come un luogo amoroso possa interrompere una catena di brutture.

Antonio Autieri