Tratto dall’omonimo libro di Edoardo Nesi, sceneggiato e diretto da Eugenio Cappuccio (Volevo solo dormirle addosso, Se sei così, ti dico sì, Il caricatore) La mia ombra è tua mescola il genere “romanzo di formazione” con il “road movie”, nel presentare le vicende di Emiliano (Giuseppe Maggio) un venticinquenne appena laureato con il massimo dei voti in Lettere Classiche, e Vittorio Vezzosi (Marco Giallini), un burbero scrittore sessantenne cocainomane che da anni conduce una vita isolata in seguito alla pubblicazione del suo unico libro, successo indelebile nella memoria di migliaia di lettori (tra cui la madre di Emiliano). Emiliano viene spinto da un suo docente che collabora con la casa editrice che pubblicò il primo e unico libro di Vezzosi a candidarsi come assistente dello scrittore, anche per capire se il tanto agognato secondo romanzo stia per essere scritto.
Lo scrittore, conquistato dalla naïveté del giovane, decide di rompere il suo volontario isolamento e accettare di recarsi con lui a bordo di una vecchia Jeep, a una fiera-mercato vintage degli anni ottanta e novanta che si tiene a Milano, dove dovrà tenere un discorso infrangendo un silenzio durato più di vent’anni. Il viaggio viene anche seguito in diretta dal mondo social, stimolato casualmente da un’influencer convinta che lo scrittore stia preparando un altro libro. Alla fiera li attendono Milena (Isabella Ferrari), il perduto amore dello scrittore, e una folla smaniosa di ascoltare il Vezzosi fare i conti con il suo passato.
Il film vuole giocare sul contrasto tra la spregiudicatezza del sessantenne e la timidezza del giovane neolaureato, vissuto fino a quel momento nel bozzolo di famiglia e studio. Ma il contrasto tra i due è poco credibile, a partire dal pistolotto cui si abbandona Emiliano dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, a base di “Voi ci avete rubato il futuro” e tutta una serie di altri luoghi comuni (ancora più ridicoli in bocca a uno che dovrebbe conoscere i classici). A questo punto ci si aspetterebbe che il burbero e anziano scrittore lo facesse prendere a calci dal fidato assistente africano (Sidy Diop) o perlomeno smontasse la sfilza di banalità. Invece il Vezzosi, evidentemente impressionato dalla verve retorica, si limita a ironizzare sul fatto che Emiliano indossi camicie a mezza manica e decide di prenderlo con sé. Giallini, sul cui talento non si discute, ha però poche armi a sua disposizione: i dialoghi sono scarsi e banali, per cui deve rifugiarsi nei cliché della figura già stravista di trasgressore in giacca di cuoio e tatuaggi, strenuo oppositore delle logiche di mercato (rappresentate da un tronfio e volgare milanese stereotipato) ma comprensivo nei riguardi dei giovani, disilluso dalla società che pure ne ha fatto un personaggio di successo, ma ancora desideroso di amare. La caratterizzazione del giovane Emiliano, oltre alla pedissequa scelta di soprannominarlo “Zapata”, non va oltre un vistoso apparecchio per i denti e una serie di scontatezze che con la giovane età c’entrano ben poco. Si strizza l’occhio ai millennials inserendo una influencer che reciuta frasi a caso, si inserisce un’appiccicata possibile storia d’amore e, per fortuna, il film è finito.
Beppe Musicco
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