I tempi cambiano. Da “Mr. Smith va a Washington” di Frank Capra a “L’onorevole Angelina” di Luigi Zampa, il cinema ci ha abituati a pensare una particolare forma di eroe: il comune cittadino onesto che si ritrova nel corrotto mondo della politica, ma mantiene la sua irreprensibilità, anche se non riesce a cambiare la situazione. Ne “La guerra di Charlie Wilson” di Mike Nichols (tratto da un libro-inchiesta su quei fatti), accade esattamente il contrario: un politico di dubbia moralità che pare non aver altre occupazioni che bere, sniffare e andare a donne (sapendo anche di poter contare sull’indifferenza dei suoi elettori) è uno dei maggiori artefici del fallimento dell’invasione sovietica dell’Afghanistan e, conseguentemente, della caduta del comunismo russo. E la cosa più grottesca è che le stizzite reazioni russe, che hanno vietato la proiezione del film in patria, sono la miglior riprova che sia proprio andata così. Charlie Wilson, da oscuro parlamentare texano, fece il primo passo in una sottocommissione di cui faceva parte, riuscendo a far stanziare alcuni milioni di dollari per sostenere la resistenza afgana. Un gesto nobile, dopo che aveva visto alcuni servizi televisivi sull’invasione sovietica del paese e il massacro di civili da parte degli elicotteri russi. Il suo gesto non sfuggì a Joanne Herring, facoltosa texana, occasionale amante di Charlie, console onoraria del Pakistan e anti comunista convinta, che convinse Wilson a recarsi in Pakistan, dove si riversavano i profughi, per incontrare il presidente Zia Ul Aq. A questo punto Wilson, con l’aiuto di un agente della CIA esperto del luogo, cominciò a creare una rete diplomatica che comprendeva anche Israele e l’Arabia, per fare arrivare armi ai resistenti, tra cui i temibili missili Stinger per neutralizzare gli elicotteri. Un’operazione che durò anni e che fece salire gli stanziamenti fino a oltre cinquecento milioni di dollari e che permise agli USA, senza mai scendere in campo col proprio esercito, di contrastare efficacemente l’imperialismo sovietico. Purtroppo, dopo aver vinto la battaglia, gli americani non furono altrettanto generosi nella ricostruzione delll’Afghanistan, per la quale sarebbero bastati pochi milioni di dollari e che avrebbero legato quel paese a un debito di riconoscenza verso gli USA. I risultati di questa miopia sono purtroppo oggi sotto gli occhi di tutti. ,Nichols (il regista de “Il laureato” e di “I colori della vittoria”) riesce acutamente a dare a una vicenda politica il tono di una commedia brillante, grazie anche al talento di Tom Hanks. Una volta tanto, Hanks non è costretto nel ruolo del buono a tutti i costi, ma dimostra di trovarsi perfettamente a suo agio nella parte del “viveur” che ha un sussulto di coscienza quando si trova in mezzo ai profughi. A condividere con lui dialoghi spesso piacevolmente caustici, Julia Roberts e soprattutto, nei panni dell’agente segreto Gus Avrakotos, Philip Seymour Hoffman: uno dei migliori attori che in questo momento Hollywood possa sfoggiare. ,Beppe Musicco

La guerra di Charlie Wilson
1980: un oscuro senatore americano, sostenuto da una miliardaria texana, fervente anti comunista, comincia a far deviare fondi governativi per comprare segretamente armi che sostengano la resistenza afgana contro l’invasione russa.