Silvia è una ragazzina di dieci anni sveglia e più matura della sua età che desidera fare una gita con la sua famiglia a Roma. Ha ottimi voti a scuola e desidera poter raccontare la sua giornata ai genitori. Il suo desiderio di una vita normale si scontra però con la depressione cronica che affligge sua madre, impedendole persino di alzarsi dal letto. Stanca delle tensioni famigliari e desiderosa di raggiungere il suo obiettivo, Silvia deciderà di organizzare il suo viaggio a Roma in piena autonomia, fuggendo di casa.
Con La fuga la regista Sandra Vannucchi tenta di raccontare il dramma della depressione e le ricadute che esso ha nelle relazioni famigliari. Il film è evidentemente pieno di buone intenzioni e mira in qualche modo a darci l’idea di una storia di formazione necessaria tanto alla giovanissima protagonista (Lisa Ruth Andreozzi) quanto alla madre, interpretata da una brava Donatella Finocchiaro. Una situazione famigliare insostenibile è alla base della fuga della ragazza, il cui desiderio di visitare Roma nonostante le condizioni proibitive è evidente manifestazione di un disagio piuttosto che un semplice capriccio infantile. Ma se lo spunto da cui la trama nasce ha qualche guizzo di originalità, l’esecuzione della vicenda e l’intera impostazione dei dialoghi risultano sostanzialmente deboli e spesso forzati nei loro risvolti emozionali: durante tutta la durata del film si ha infatti la sensazione di una gestione totalmente ingenua e sbagliata dei tempi e degli sviluppi della storia, che spesso orbitano intorno a situazioni ripetitive e prive di esito. Il film fa dunque fatica a ingranare le marce, perdendosi nella precisazione di piccoli eventi di crisi quotidiane che si affastellano senza mai aggiungere davvero niente all’economia della vicenda. Gli stessi personaggi sono presentati un po’ schematicamente, ingabbiati in stereotipi che gli impediscono di evolvere per tutta la prima metà del pur brevissimo film; s’intuisce tra le righe l’intenzione di calare i protagonisti in una stasi fatale che è quella in cui la depressione getta le sue prede, ma purtroppo l’apparato metaforico dei dialoghi non risulta sufficientemente solido da supportare la complessità di un sottotesto del genere.
Entrando nel cuore dell’avventura migliorano la scorrevolezza e l’efficacia della narrazione, complice l’atmosfera creata dall’amicizia tra Silvia ed Emina (Emina Amatovic), ragazzina rom che la ospita nella sua roulotte all’interno di un campo nomadi.Qui la sceneggiatura si gioca un focus interessante sul tema della diversità e della povertà delle minoranze nella grandi città, rivelando nella costruzione del rapporto tra le due ragazze uno sguardo intelligente sul valore dell’amicizia al di là delle barriere culturali. Poco altro resta purtroppo da aggiungere, poiché anche il momento dello scioglimento dei nodi tematici cruciali appare povero e privo di quella verve emozionale che ci saremmo aspettati da un dramma del genere. Nonostante i modesti approdi dell’intera struttura narrativa, La fuga congeda lo spettatore con la bella immagine di una famiglia in lotta contro un male quasi imbattibile, che non è tuttavia in grado di distruggere l’infinito amore tra genitori e figli.
Maria Letizia Cilea