Chi è la ragazza che all’alba scappa da una casa abitata da un gruppo di uomini, riveriti come padroni, e da un gruppo di donne che da subito ci appaiono sottomese (aspettano che i primi finiscano di mangiare, in attesa docile del loro turno)? Siamo nella nostra epoca, come i dettagli esteriori ci fanno intuire, o siamo in un’anacronistica (per i vestiti e le acconciature, per quanto non certo alla moda) rappresentazione di una fattoria americana ottocentesca? Quella ragazza è Martha, ma in quella casa – prima stranezza – le hanno cambiato nome in Marcy May. E al telefono risponde, come altre, chiamandosi Marlene. Tutte e tutti, scopriremo a poco a poco nei flashback di cui è pieno il film, obbediscono a un capo, Patrick, che suadente e inquietante convince le persone che devono abbandonare la propria individualità a favore del gruppo. Ma a un certo punto Martha non ce la fa più, e scappa. E cerca, dopo anni di assenza, la sorella Lucy. Ma la convivenza con lei e con il marito, dopo anni di “educazione” traviata, non sarà certo facile. Mentre strani segnali le fanno pensare che i vecchi “amici” le stiano dietro: suggestioni di una mente disturbata o reale pericolo?,Opera prima intensa e angosciante, forse solo appesantita da una certa grevità di ritmo, La fuga di Martha – che si fece apprezzare al Sundance Festival e a Cannes nel 2011 – svela la vicenda della ragazza con continui andirivieni temporali, tra il presente a casa della sorella e del marito e il passato nella “comune”. Una setta che esclude il mondo esterno ed esalta il gruppo e soprattutto il ruolo di guida di Patrick (che detiene una specie di jus primae noctis su tutte le donne che entrano in casa, a fini “purificatori”). Martha, interpretata da una bravissima Elizabeth Olsen, ci appare come una ragazza apparentemente forte, o meglio aggressiva, in realtà fragile e segnata dai due anni in quella casa. In cui si vagheggiava l’autosufficienza, tramite prodotti naturali, e l’ordine domestico grazie a lavori a rotazione fra tutti i conviventi. Ma ci sono anche la promiscuità continua (come gli amplessi, a coppie, tutti insieme nella stessa stanza), la punizione eccessiva per qualsiasi sciocchezza, l’umiliazione della personalità. Non avendola del tutto persa, Martha riesce – unica – a fuggire. Ma poi nella casa di vacanze della sorella sembra scontenta, quasi rimpiangesse quell’ordine, quella sobrietà, quel rifuggire da beni materiali e valori sociali come la “carriera” che le sembrano vuoti. ,Antonio Autieri