Il film di Claudio Noce sfrutta al meglio un’ambientazione molto suggestiva, una valle montana dominata da una diga e ricoperta di neve, isolata dal tempo inclemente tanto da trasformarsi in un luogo “mitico”, almeno in parte svincolato da una precisa collocazione geografica. La regia è efficace nel creare un’atmosfera sospesa, piena di tensione che apre la strada a un thriller in cui motivazioni e antefatti sono volutamente lasciati in sospeso. ,C’è una donna che in teoria studia gli orsi, ma nella realtà sembra molto più interessata ai movimenti che si svolgono intorno alla diga che domina la foresta del titolo, c’è un gruppo di operai con l’aria da mezzi delinquenti, c’è un montanaro dal carattere più abbordabile (Adriano Giannini) che però sembra correre qualche rischio di troppo, e c’è un traffico misterioso che si ripete da almeno un ventennio passando proprio sulla cima di quella diga e lasciandosi alle spalle tracce di sangue… ,Questi gli ingredienti del noir/thriller che Claudio Noce ha portato al Festival del Cinema di Roma 2014.,Che si tratti della poliziotta dell’Est assetata di giustizia (la sempre brava Rappoport) o del giovane tecnico che capiamo subito non essere lì per caso, o ancora del misterioso custode della diga (Emir Kusturica, un po’ orco e un po’ saggio della montagna) almeno per un po’ lo spettatore resta agganciato alla loro vicenda, e cerca di mettere insieme i pezzi di una storia che Noce sembra voler costruire più per impressioni ed effetti che preoccupandosi di condurre allo svelarsi di una verità nascosta.,Sarà anche perché che cosa ci sia in gioco non è poi così difficile capirlo quando si parla di confini e carichi umani, sarà perché dopo un po’ alcuni virtuosismi di regia e alcune citazioni cinematografiche finiscono per risultare quasi eccessive rispetto all’esilità del racconto, sta di fatto che la pellicola perde progressivamente presa sullo spettatore e il sontuoso climax finale, tra montaggi alternati di passato e presente, colonna sonora roboante e resa dei conti in stile Fargo, rischia di appare un po’ pretenziosa e paradossalmente molto poco emotiva.,Un’occasione mancata in cui alcune buone performance attoriali (oltre alla citata Rappoport anche il giovane Diele non se la cava male) non bastano a convincere sulla bontà di questa operazione che cerca di trasformare il Trentino nell’America impervia di certo cinema indipendente, ma si arena sulla ricerca di effetti che si mangiano il racconto.,Luisa Cotta Ramosino,