Ne La figlia oscura, Leda Caruso è una professoressa di letteratura comparata in vacanza in Grecia. Arrivata in spiaggia si imbatte in un gruppo di chiassosi turisti tra i quali nota Nina insieme alla piccola figlia Lena. L’immagine di madre e figlia insieme la colpiscono e la agitano; le fanno venire in mente lei da giovane, insieme alle figlie Bianca e Martha. La vacanza si complica e si fa sempre più angosciante…
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia dove è stato premiato per la sceneggiatura, La figlia oscura è diretto da Maggie Gyllenhaal – qui al debutto dietro la macchina da presa – e tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante. Il film è un lungo percorso nei dubbi, nei sensi di colpa e nelle angosce di una «madre snaturata» come si definisce Leda, ottimamente impersonata da un’intensa Olivia Colman candidata all’Oscar per l’interpretazione. I troni drammatici e inquieti si capiscono fin dalla prima scena, quando vediamo Leda stravolta finire in acqua svenuta. Il film ripercorre a ritroso il perché si sia arrivati fino a quel punto. Leda, nel vedere il rapporto intenso anche se non facile tra Nina (Dakota Johnson qui in una interpretazione non trascurabile) e Lena, ripensa alla sua vita, alle difficoltà avute nel passato con le figlie Bianca e Martha; soprattutto la prima le ha sempre dato filo da torcere, invidiosa per la nascita della sorellina e dalla forte personalità. In lunghi flashback ripercorriamo la sua vita (a Leda giovane dà il volto Jessie Buckley, anche lei candidata agli Oscar); la vediamo sempre più pressata, stanca e soffocata dalle due figlie. Il film è un crescendo di tensione quasi da thriller sia nel momento presente – con Leda che compie un gesto assurdo (ruba la bambola preferita di Lena gettandola nella disperazione) e che si sente sempre più angosciata dal suo passato e accerchiata dalla famiglia di Nina – sia nel passato fino al momento in cui vediamo la protagonista compiere un gesto che la segnerà per tutta la vita (no spoiler).
La figlia oscura è un viaggio psicologico nei meandri mentali di una madre che si sente in colpa per il suo comportamento e la sua inadeguatezza e che è in cerca di una pace che non può trovare. Maggie Gyllenhaal, che dimostra promettenti qualità registiche, utilizza spesso la camera a mano mettendosi con efficacia al servizio delle espressioni, dei turbamenti e dei drammi della protagonista. Candidato agli Oscar per la miglior sceneggiatura non originale, il film – che ospita anche un cameo del tutto trascurabile di Alba Rohrwacher – ha qualche lunghezza di troppo, soprattutto nella parte centrale, che rischia di compromettere la forza del messaggio.
Stefano Radice
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