Baxter (Bateman) e Annie Fang (Kidman) hanno passato la loro infanzia come protagonisti, più o meno consapevoli, delle performance concettuali dei loro genitori artisti. Finti rapinatori, orfani abbandonati, tutto era valido per la volontà di padre e madre di scioccare gli inconsapevoli spettatori delle loro messe in scena. Performance che mandavano in visibilio la critica, ma che alla lunga hanno lasciato un profondo senso di spaesamento nei bambini (che venivano chiamati dal padre “Bambino A” e “Bambino B”, come a rendere ancora più evidente la loro posizione di comparse in un piano studiato da altri).

Dopo aver mostrato alcuni flashback delle loro infanzia, il film ci mostra i due ormai diventati adulti, ma ancora con tutte le nevrosi che sono evidente strascico della loro infanzia. Annie ha la fama di attrice scostante e capricciosa che fa disperare il suo agente e i registi, ma è una donna fragile e insicura; Baxter è un romanziere cui è venuto il blocco dello scrittore e da due anni è fermo senza riuscire a concludere un libro. Il ritrovarsi insieme (dopo un assurdo incidente in cui Baxter viene ferito alla testa da un bazooka che spara patate), riesce a mostrare efficacemente il rapporto tra i due fratelli e la loro giovinezza irrisolta. Un po’ meno efficace, da questo punto di vista, la rappresentazione dei genitori (Jason Harner e Katryn Hahn da giovani, Christopher Walken e Maryann Plunkett da anziani), i cui caratteri sono rappresentati molto diversamente e che si fatica a pensare come le stesse persone.

La vicenda assume i contorni di un “mistery”, con la scomparsa dei genitori, ma con lunghi momenti poco efficaci, che si risollevano però con un finale in crescendo (grazie più alla bravura degli attori che alla storia). Anche se il tema si presterebbe, i momenti da commedia sono pochi, mentre l’approfondimento psicologico meriterebbe maggior approfondimento, visto anche lo spunto interessante del tema: cos’è disposto a sacrificare un artista per la sua arte?

Beppe Musicco