Saper raccontare problematiche socialmente sensibili, la diversità e i legami familiari con leggerezza e umorismo, ma senza dimenticare la commozione, con un occhio alla modernità e qualche benvenuto sberleffo al politically correct ma anche con il fazzoletto pronto per le lacrime non è affatto facile. Eppure è quello che negli ultimi anni è riuscito a fare il cinema francese con una serie di commedie leggere ma non inconsistenti, che non a caso hanno portato nelle sale milioni di persone nel paese d’origine, ma anche all’estero (ed è noto quanto sia difficile esportare l’umorismo). Un fenomeno iniziato con Giù al nord (remake anche in Italia) e continuato con Quasi amici, e che in Italia, divisa tra drammi pensosi e commediole inutili o sbavate, ha saputo replicare forse solo Checco Zalone.

Nello stesso filone si inserisce La famiglia Bélier, commovente e divertente storia di una ragazza con una gran voce nata in una famiglia di sordomuti; la protagonista è la vincitrice della versione francese di The voice, che pur non essendo attrice di professione, dona alla sua Paula, timida e grassottella, il giusto mix di goffaggine, idealismo e tenerezza adolescenziale. La storia è quella del proverbiale “brutto anatroccolo” che troverà faticosamente la sua strada tra primi amori, genitori iperprotettivi, sviluppo e un maestro un po’ scorbutico e frustrato, diviso tra le aspirazioni verso la capitale e gli sfoghi contro i suoi allievi provinciali. A complicare le cose in un già delicato percorso di crescita verso l’età adulta (l’arrivo del primo ciclo è l’occasione di una tra le gag a sfondo sessuale non proprio delicatissime che punteggiano una storia per il resto molto family friendly), c’è il complesso legame tra Paula e la sua famiglia. Non soltanto i genitori e il fratello, tutti sordomuti, contano su di lei per molti aspetti della gestione quotidiana, ma la passione della ragazzina per la musica risulta incomprensibile e quasi offensiva a persone che, come molti sordomuti reali, si considerano una categoria a sé e separata dagli udenti. Uno dei momenti più strazianti e veri della storia arriva quando la mamma di Paula, solitamente solare, ammette di aver pianto quando alla sua nascita il marito le aveva rivelato che la figlia ci sentiva. Un momento che estremizza ma nello stesso tempo descrive con esattezza l’inevitabile tentazione di ogni genitore di volere i figli uguali a se stesso.

La descrizione dei Bélier si divide tra momenti di efficace realismo (come quando vanno al concerto scolastico di Paula e il suono scompare, lasciandoci intendere il lancinante isolamento di chi non può nemmeno immaginare quel che significhi il canto) e altri più sopra le righe (la felice vita sessuale dei genitori Bélier e l’improbabile campagna elettorale del papà contro il solito sindaco cinico e opportunista), ma non perde mai la presa emotiva sullo spettatore. Tra canzoni di Michael Sardou (il cantante preferito di Thomasson, che saccheggia il suo repertorio, a volte forse un po’ audace per ragazzi) cantate a cappella, in duetto, o accompagnate dal linguaggio dei segni, primi palpiti adolescenziali, e un paio di sottotrame superflue, La famiglia Bélier riesce a raccontare le speranze e le contraddizioni del passaggio all’età adulta, la necessità del distacco e il bisogno di attaccarsi alle radici di chi va, la sfida dell’essere genitori, capaci di abbracciare i propri figli, ma anche di lanciarli verso un futuro che forse li porterà lontano.

Laura Cotta Ramosino