C'è qualcosa che vale ben più del denaro. Qualcosa di unico e prezioso: è il biglietto per visitare la Fabbrica del Cioccolato di Willy Wonka. Il re dei dolciumi dell'omonimo libro di Roald Dahl ritorna ad incantare grazie alla stravagante fantasia del regista Tim Burton. Attualizzati i bambini vincitori dell'ambito biglietto d'oro (il genietto non può che amare la Playstation), il regista ha scelto di mantenere il mondo del piccolo Charlie legato alle sembianze favolistiche. La povertà materiale della sua famiglia sembra uscita dalle illustrazioni di un libro per bambini: le mura della sua casa sono storte, la mamma serve la minestra di cavolo e i quattro nonni vivono rannicchiati in un unico lettone. Situazione sopra le righe per un bambino speciale che è già inserito in un mondo da fiaba come quello che ha costruito Willy Wonka nella sua fabbrica. Non contento di portare nell'intero pianeta la sua stravaganza grazie ai dolciumi da lui inventati, Willy si è circondato di strane creature i Umpa-Lumpa trasformando la fabbrica nel paese delle meraviglie. Senza leggi, né limiti la fabbrica ben rappresenta il mondo fantastico, ricercato da Burton in ogni suo film, dove le identità si confondono (i folletti sono un effetto di duplicazione di un unico attore) e i sentimenti sembrano essere lasciati da parte, dimenticati in favore di una prolifica creazione. Ma il fantasma del padre (altro motore del cinema burtoniano) è presente nelle menti dei due protagonisti. Un richiamo alla vita, e con essa anche alla sofferenza e alla difficoltà delle scelte ma soprattutto un legame tanto forte da trasparire anche quando si ricerca il distacco. Ed ecco che si spiegano quei guanti di plastica che con insistenza vengono sottolineati nel personaggio di Willy Wonka, segno dell'unico “tocco” che abbia mai ricevuto dal padre dentista. E dopo Vincent Price, Martin Landau spetta adesso all'intenso Christopher Lee prendere le veci del padre di Johnny Depp, ormai alter-ego fisso di Burton.,Daniela Persico