Una delicata parabola di maturazione adolescenziale targata Studio Ghibli e firmata dal figlio di colui che a buon diritto può essere considerato il maestro assoluto dell’animazione giapponese, Hayao Miyazaki. Il Maestro, già padre di serie animate amatissime come Lupin III e Heidi e per il cinema autore di capolavori come La principessa Mononoke, Porco Rosso, Il mio amico Totoro, La città incantata e Ponyo sulla scogliera, qui firma solo la sceneggiatura. In questa Collina dei papaveri, oltre che all’usuale disegno a due dimensioni che non fa rimpiangere più tecnologiche alternative in 3D e computerizzate, si ritrovano molti elementi della poetica dello Studio Ghibli: una delicata e sensibile rappresentazione dell’età incerta dell’adolescenza, fatta di sguardi timidi, primi amori, slanci ideali e dolorose disillusioni, un’attenzione certosina a quel paesaggio naturale e umano che negli anni Sessanta sta inesorabilmente evolvendosi in quello del futuro Giappone industriale, una meditazione nostalgica e profonda sul passato e sulla vita familiare, luogo di affetti ma anche teatro di segreti e dolorose rivelazioni.
Qui la storia d’amore tra i due protagonisti, Umi e Shun, dopo essere passata attraverso gli usuali ma non per questo meno efficaci rituali del corteggiamento, vira verso il mistero e il timore di un possibile e tragico incesto, per poi riportarsi verso binari più sicuri ed elegiaci. Umi vive con nonna e altri familiari sulla collina del titolo e ogni mattina issa la bandiera di segnalazione marittima come le aveva insegnato il padre morto in guerra, Shun osserva ogni giorno dal porto dove vive con i genitori adottivi quella bandiera in cima alla collina e questo crea un legame speciale anche se ancora inconsapevole tra i due ragazzi. L’occasione di incontro tra i due, che frequentano la stessa scuola, è però la lotta per salvare il decrepito Club di Filosofia dell’istituto (soprannominato “Quartier Latin”), abitato da maschi tanto geniali quanto disordinati, ma a cui le femmine daranno un volto più vivibile “moderno” pur preservandone i ricordi e la tradizione. ,Attorno ai protagonisti si muove un universo di studenti, professori e familiari, in cui non mancano le caricature ma sono abilmente inserite nella trama e nell’ambientazione. Il fuoco della storia, però, resta sul legame speciale di Umi e Shun, destinato a subire un drammatico sviluppo quando un esame più attento del passato lascia intravedere la possibilità che gli innamorati siano anche fratellastri.
Il finale, che pure non manca di drammaticità, sfugge però la tragedia e anzi parla di speranza per il futuro. Una morale non banale per un racconto che cerca di cogliere e trasmettere il delicato momento di transizione non solo di due persone, ma di un intero paese che cerca di costruirsi un nuovo futuro (l’anno in cui si svolge è quello precedente alle Olimpiadi di Tokyo) e di lasciarsi alle spalle un passato pesante e doloroso.
Laura Cotta Ramosino