Film bizzarro e violentissimo, sin troppo. L'idea, originale, è quella di raccontare il mondo dei supereroi da un punto di vista interno, di chi i supereroi e le loro gesta le sogna, mentre la vita scorre noiosa e priva di vere avventure. Insomma, il protagonista di questo film è un vero e proprio nerd, occhialuto, assai poco affascinante e imbranato con le donne a tal punto da essere preso per gay. Interpretato dal giovane e bravo Aaraon Johnson (Nowhere Boy) ben coadiuvato da ottime spalle, in particolare Clark Duke e Evan Peters, nei panni di due amici ultranerd, il film di Matthew Vaughn (The Pusher, Stardust) ha parecchie frecce al suo arco. La narrazione è spigliata, il ritmo e l'azione non mancano e i caratteristi, primo fra tutti Mark Strong nei panni del terribile boss D'Amico, convincono. A non convincere invece è l'uso insistito e gratuito della violenza, in alcuni momenti insostenibile. Soprattutto perché l'altra vera protagonista del film è una ragazzina di dieci anni che, armata fino ai denti ed educata sin da quando era in fasce dal padre ad ammazzare i brutti ceffi, non farà sconti a nessuno. È Hit-Girl, interpretata dalla giovane Chloe Moretz – un volto giovane dal sicuro avvenire – che in una sequenza violentissima, accompagnata dalla Banana Splits dei Dickies, fa strage dei nemici: ma è tutto il film a non lasciare scampo da questo punto di vista. Tanta violenza, e mai necessaria. È un uso esibito e compiaciuto del sangue che non capiamo, simile per certi versi a quei videogame cruenti e sparatutto. Violenza che a un certo punto diventa assoluta protagonista andando a condizionare pesantemente un film che rivela peraltro un uso intelligente della macchina da presa e della colonna sonora, molto ricca e cinefila (c'è pure il tema di Morricone di Per qualche dollaro in più), e in cui il regista mostra anche un certo equilibrio nel gestire registro drammatico e comico. È piuttosto realistico ad esempio il ritratto che Vaughn fa del suo protagonista: timido, introverso eppure tutto teso a trovare un riscatto che pagherà a duro prezzo. Non manca il cinismo spiazzante e compiaciuto, evidente soprattutto nella rappresentazione dello stile di vita della famiglia Lizewski, con due genitori passivi e assai grigi (lei è l'indimenticabile Elizabeth McGovern di C'era una volta in America). Prodotto tra gli altri da Brad Pitt e scritto da John Romita Jr. (Iron Man) e da Mark Millar da un suo stesso fumetto, Kick-Ass non è privo di ironia, così come non manca di sequenze di dubbio gusto (la pratiche sessuali in solitaria di Dave) ed è capace di riflessioni anche interessanti sul potere dei media nella costruzione di Kick-Ass, l'eroe per caso con la tutina gialla. Soprattutto, tenta la strada come tanti altri cinecomics – Spiderman su tutti – del racconto della diversità dell'adolescente, ma non ha il coraggio di affondare nella psicologia e nel ritratto giovanile, per prendere una piega sin troppo facile con l'entrata in scena di una ragazzina che pare un omaggio, insistito e al tempo stesso fuori luogo, alla vendicativa Uma Thurman di Kill Bill. ,Simone Fortunato