Questo ultimo (si fa per dire, vista la redditività dei predatori del cretaceo c’è da vedere se la cosa si fermerà qui) capitolo della saga iniziata ormai quasi trenta anni fa con Jurassic Park riprende quattro anni dopo (nel nostro mondo e in quello della storia) dopo l’ultimo.
Grazie alla decisione impulsiva della giovane Maisie Lockwood (lei stessa un clone di una scienziata defunta), i dinosauri si sono sparsi del mondo e vivono in instabile equilibro con l’umanità, tra tentativi di sfruttamento più o meno legale, incidenti mortali e momenti di imprevedibile meraviglia.
Owen (Chris Pratt) e Claire (Bryce Dallas Howard) si sono nascosti tra le montagne nel tentativo di proteggere Maisie dai molti malintenzionati decisi a sfruttare i segreti della genetica di cui è il frutto e cercano come possono di farle da genitori. Ma Maisie è curiosa e difficile da controllare, come ogni adolescente, e morde il freno, un po’ come Beta, il cucciolo della velociraptor Blue (addestrata a suo tempo da Owen e ora predatrice nella foresta vicina).
E poi c’è un nuovo cattivo, Lewis Dodgson (Bruce Campbell), titolare di un’ambiziosa società specializzata nell’ingegneria genetica, che di fronte al mondo proclama di voler usare i dinosauri per curare le malattie e nella realtà è impegnato nei soliti azzardatissimi esperimenti (che stavolta hanno a che fare con una nuova inarrestabile specie di cavallette). Sono le sue truffaldine attività a riportare insieme i protagonisti della nuova trilogia con il terzetto di quella storica: il teorico del caos Ian Malcolm (Jeff Goldblum), la biologa Ellie Sattler (Laura Dern) e il paleontologo Alan Grant (Sam Neill), questi ultimi due a riprodurre in versione attempatae pure un po’ imbarazzata le loro antiche schermaglie con un effetto non proprio affascinante.
Uno dei molti difetti di questo ultimo blockbuster di dinosauri, che pe il resto ripropone in gran copia i soliti inseguimenti mozzafiato con specie di dinosauri sempre più feroci, veloci e letali, è la mancanza di un antagonista di rango. Dodgson sembra la caricatura del miliardario geniale, autistico e senza scrupoli già vista in Don’t look up, ma in realtà non sembra azzeccarne una e inanella un errore dopo l’altro con una frequenza quasi da film comico. La critica alle multinazionali brutte e cattive che tengono in mano le sorti del pianeta minacciandolo con la carestia globale appartengono ormai un po’ al repertorio del cinema mainstream che cerca di darsi un tono ecologista e di denuncia, ma rischiano di far sorridere di fronte alle ben più concrete minacce che offre la situazione geopolitica attuale.
In compenso le complessità dei dilemmi legati all’ingegneria genetica sono bypassati senza troppi pensieri (per dirne una, non è mai chiarito perché la scienziata che si è clonata in Maisie abbia deciso così di rispondere al proprio desiderio di maternità anziché in alti modi più o meno tradizionali) a favore di un sentimentalismo un po’ d’accatto (abbiamo tutti bisogno di una mamma, umani o dinosauri).
I personaggi di contorno, dal contrabbandiere di dinosauri senza scrupoli destinato a fare la solita brutta fine, alla broker per cui i grandi rettili sono solo un’alternativa alla droga, alla pilota ex esercito che si scopre una coscienza, non vanno oltre una caratterizzazione superficiale e di maniera e i buchi di sceneggiatura sono più grossi di quelli che permettono l’ennesima evasione dei mostri dai recinti supersicuri (stavolta in un’improbabile versione delle nostre Dolomiti).
Non bastano gli ammiccamenti al passato, gli incontri a sorpresa tra le generazioni e la simpatia di Chriss Pratt a salvare un film che dimostra la sua stanchezza già a un terzo della sua esorbitante durata e che fatica a far rivivere, se non per pochi brevi momenti, quel senso di meraviglia che Spielberg aveva saputo regalarci negli anni Novanta.
Laura Cotta Ramosino
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