Ne abbiamo già parlato dalla Mostra di Venezia 2017, dove è stato presentato fuori concorso e dove auspicavamo un suo passaggio nei cinema. Invece Jim & Andy: the Great Beyond è uscito direttamente sulla piattaforma Netflix, e quindi ci si deve accontentare di vederlo lì. Si tratta di uno dei documentari più originali e belli di sempre, che inizia come backstage inedito dal set di Man on the Moon, il grande film di fine anni 90 diretto da Milos Forman, con Jim Carrey nei panni del comico Andy Kaufman. Per Carrey, che insistette molto con il regista per avere la parte («nessuno poteva interpretarlo meglio di me»), quella non fu una semplice interpretazione: intervistato a tanti anni di distanza, l’attore canadese rievoca non solo cosa significò interpretare il grande e folle artista (più che comico, definizione che detestava, Kaufman era un vero performer: incredibili le risse nei programmi tv o con un famoso wrestler) scomparso a soli 35 anni nel 1984. Ma anche l’influenza che ebbe Kaufman su di lui fin dagli esordi tv, surreali e provocatori se non a volte addirittura “oltraggiosi”, quasi quanto quelli di Andy. Quel film, difficilissimo da realizzare (anche per Forman, che nonostante la grande esperienza rischiò più volte di perdere il controllo del set, attraversato da una vena anarchica), significò un’immersione totale nel personaggio da parte di Jim Carrey, che sul set si comportava come Kaufman o come il suo incredibile, aggressivo, ancor più folle alter ego Tony Clifton (chi ha visto il film capirà), con conseguenze imprevedibili su tutte le persone attorno a lui/loro. E su Jim Carrey stesso, sempre sul punto di essere travolto dalle doppie e triple personalità da gestire (incredibile vedere Tony Clifton, ovvero lui stesso, che parla in modo feroce di Jim Carrey).
Ma il documentario, che spazia dall’infanzia di Carrey al rapporto con il padre (punto debole anche per Kaufman), da altri film fondamentali per lui come il “profetico” Truman Show e Se mi lasci ti cancello (insieme a Man on the Moon tre film «che rispecchiavano il momento della mia coscienza in quel momento») al suo periodo esistenziale attuale in cui il cinema sembra non avere (purtroppo) più spazio, parla di identità, di rapporto tra vero e falso, di realtà e finzione, di maschere e sincerità. E di desiderio di essere apprezzati e amati. Con alcuni momenti davvero commoventi, come la rievocazione della morte del padre o una sfuriata in camerino con l’attore che fa suo padre nel film, che sembra così vera da far commuovere una truccatrice). E quelle che sembrano curiosità ma che in realtà non lo sono: per chi non aveva saputo interpretare il finale enigmatico di Man on the Moon, vediamo apparire Bob Zmuda (autore tv e amico di Kaufman) che si divertiva a dare il cambio a Jim Carrey nei panni di Tony Clifton. Ma soprattutto, rimane l’inquietudine sul volto del canadese folle che da comico demenziale (chi lo ricorda come Ace Ventura?) seppe diventare un grande e completo attore. E che ancora oggi si sente “orfano” di Andy Kaufman: «Dopo il film ero di nuovo dentro i miei problemi: con Andy ero libero…».
Antonio Autieri