L’affiatato gruppo di adolescenti, conosciuto come il Club dei Perdenti, ha sconfitto la paura e vinto con coraggio la prima battaglia contro It, il clown ballerino, il mostro ultraterreno che, privato del suo potere, si è rintanato negli abissi per rigenerarsi. 27 anni sono passati dallo scontro con la creatura; i ricordi della spaventosa esperienza dell’infanzia sono sfumati e i traumi sepolti sotto le macerie del tempo. Dimentichi di ciò che è accaduto nella sinistra cittadina di Derry: uno scontro fisico e mentale nelle profondità della terra dove cresce la paura e con essa il male che corrompe l’anima e consuma la carne, divorandola, i Perdenti, ormai adulti, vivono negli Stati Uniti, gravati da un senso di incompiutezza sul piano famigliare e sociale mitigato, in parte, dalla realizzazione in ambito lavorativo. Un bellissimo e terrificante affresco contemporaneo.

Privi di solidi legami affettivi, i Perdenti hanno scelto di fare ciò che meglio riusciva loro; senza, tuttavia, sconfiggere i loro dèmoni. Da “quel” giorno si sono lasciati alle spalle ogni cosa, ma non prima di aver suggellato un patto di sangue, una promessa secondo cui, se il male fosse tornato, si sarebbero riuniti nuovamente per fronteggiarne la minaccia. Quando le falde acquifere di Derry si tingono ancora di rosso, tutto torna a galla; basta la telefonata di un vecchio amico, l’unico rimasto a Derry, per rievocare gli spettri del passato e far rivivere gli incubi più atroci. I Perdenti, dunque, fanno ritorno e disvelano il sottile velo che ottenebra il loro spirito, determinati a sconfiggere Pennywise, una volta per sempre.

Andy Muschietti, dopo lo straordinario successo del primo capitolo, scatena la sua verve orrorifica, ripresentando i lugubri scenari della maledetta cittadina di Derry, nelle cui “arterie” scorre il sangue dei suoi disillusi abitanti; uno di essi è Adrian Mellon (il regista Xavier Dolan), vittima dell’odio e l’intolleranza verso il diverso, il cui brutale omicidio è specchio della società odierna. Un incipit ancora più sconvolgente rispetto alla morte del piccolo Georgi, nonché una delle sequenze più attese. La narrazione, i cui pezzi vanno a comporre un puzzle visivamente disturbante per i deboli di cuore, è resa dannatamente organica dallo sceneggiatore Gary Dauberman che offre interessanti chiavi di lettura della storia e concede a ogni personaggio il proprio tassello; senza rinunciare, con il massimo rispetto all’iconica e monumentale opera di Stephen King, a inevitabili licenze “poetiche”, tra cui la diversa collocazione temporale. Fondamentale è la presenza del mitico Rituale di Chüd, non menzionato nel precedente capitolo e assente anche nella trasposizione televisiva degli anni Novanta, attraverso cui i Perdenti cercano di imprigionare l’essenza “luminosa” di It dopo uno psichedelico viaggio, mistico e metafisico, ottimamente rappresentato, mentre la creatura muta in forma e dimensione per essere ancora più mostruosa e mortale, violando la mente dei protagonisti. I Perdenti, mentre cercano i loro “artefatti” per poter compiere il rituale, oggetti mai realmente dimenticati, perduti tra le rovine della propria felicità, affrontano singolarmente le loro paure incarnate in Pennywise, momenti di solitudine e terrore puro.

Se i giovani attori lasciano il segno per le loro mature interpretazioni che donano profondità caratteriale ai personaggi, le controparti adulte meritano il plauso non solo di una somiglianza espressiva fuori dal comune, ma un impegno e dedizione tali da essere completamente mimetizzati nei loro ruoli. James McAvoy (il balbuziente Bill Denbrough) e Jessica Chastain (la sfolgorante Beverly Marsh) sono sempre all’altezza in parti psicologicamente complesse (e complessate), ma la vera sorpresa sono Bill Hader (l’occhialuto Richie Tozier) e James Ransone (l’ipocondriaco Eddie Kaspbrak) che regalano divertentissimi momenti da buddy movie; mentre l’aggiunta al cast di Teach Grant (il violento Henry Bowers) approfondisce, seppur come mera appendice da affascinante horror di serie B, le devastanti conseguenze emotive del ritorno di It, interpretato nuovamente da Bill Skarsgård che incute paura con il niveo trucco, gli occhi iniettati di sangue, i denti aguzzi e la mutevole espressione diabolica. Un Pennywise semplicemente perfetto.

L’ultimo capitolo del dittico, tratto dal capolavoro di Stephen King, è un’opera articolata, di difficile gestione, ma il regista Andy Muschietti è abile nel far quadrare il cerchio attraverso frequenti analessi che si intersecano alla storia presente in modo così fluido e naturale da giustificare la notevole durata della pellicola. Il montaggio è efficace e include anche frammenti di un antico passato, una cornice sulle origini di It, e molti elementi propri delle opere del Re del brivido che donano alla trasposizione un fascino raro da trovare nelle produzioni di genere.

It – Capitolo due rappresenta alla perfezione l’eterna lotta contro il male, narrata attraverso gli sguardi carichi d’orrore, le terribili sensazioni e le intense paure dei personaggi, imbrigliati da mortali fili psicologici intrecciati a formare una ragnatela che non lascia scampo, fino all’eccezionale battaglia finale contro It, nelle profondità sotterranee di Derry: fittizia cittadina del Maine dove il sangue sgorga a fiotti, impossibile da non amare.

Alessandro Pin