Quando uno Space Shuttle precipita sulla Terra dopo una missione nello spazio, strane cose iniziano ad accadere prima negli Stati Uniti, poi nel resto del mondo. Un numero sempre maggiore di persone viene investito da una forma di apatia che sembra capace di azzerare le emozioni. I media e i politici sembrano voler liquidare la faccenda, finché un manipolo di scienziati capisce che è in corso una silenziosa ma implacabile invasione aliena che, se non fermata, potrebbe annientare l’intera civiltà umana.

Come Eschilo o Shakespeare, capaci di parlare al pubblico in qualunque epoca, così la fantascienza è diventata un repertorio da cui attingere in qualunque momento della storia, per dare forma e volume alle paure dell’uomo. In principio, nel nostro caso, fu The Body Snatchers, romanzo di Jack Finney, tradotto sul grande schermo per la prima volta dal regista Don Siegel nel 1956 (L’invasione degli ultracorpi) e poi ancora da Philip Kauffman nel 1978 (Terrore dallo spazio profondo) e da Abel Ferrara nel 1994 (Ultracorpi – L’invasione continua), ad incarnare rispettivamente le tensioni del maccartismo, il riacutizzarsi della guerra fredda, l’incubo dell’AIDS. Quarto in ordine di tempo, con l’intento di appagare velleità allo stesso tempo intellettuali e commerciali, è arrivato il produttore Joel Silver (nel suo carnet le serie Die Hard e Arma letale) che con un occhio al filone “paura e paranoia” post 11 settembre (di cui fa parte l’altro remake War of the Worlds), ha tentato di dire la sua sull’incubo del terrorismo e sulla perdita dell’identità nell’era della globalizzazione. L’occasione era quella di dire qualcosa non di nuovo ma sempre vero sulla libertà dell’uomo e sull’essenza dello spirito umano (gli alieni invasori vogliono una razza di esseri senza emozioni e contraddizioni, promettendo in cambio della schiavitù l’eliminazione di ogni tipo di contesa, di guerra, di ingiustizia).

Il risultato non è purtroppo all’altezza delle ambizioni, e anche come documento sociologico dei tempi che stiamo vivendo questo confuso thriller non vale molto. Passato dalle mani del regista tedesco de La caduta Olivier Hirschbiegel a quelle più agili ma meno esperte del James McTeigue di V for Vendetta, montato infine dagli inconcludenti fratelli Wachowsky, autori di Matrix, il film rischia di passare alla storia solo per la lavorazione tormentata e fallisce innanzitutto come prodotto di intrattenimento. Strattonato in tal modo, con un montaggio che sembra quello di un lungo trailer, Invasion esce a pezzi deludendo anche chi si aspettava scintille dalla coppia di belli e biondi Nicole Kidman (brava, ma inutilmente) e Daniel Craig (“alienato” più di quanto chieda la parte). Di sicuro non assomiglia a nessun altro film del genere, ma non è un pregio.

Raffaele Chiarulli