Christopher Nolan, da sempre stuzzicato da tematiche affascinanti e intricate come il tempo e la sua percezione, le leggi della fisica, il sogno e quella zona grigia al confine tra scienza e realtà ultraterrena, nella sua ultima prova si confronta con i più basilari topos della fantascienza, “sfidando” alcune pietre miliari della storia del cinema e non solo del genere. Lo fa con un’opera dichiaratamente complessa e ambiziosa, che cerca come di consueto di allontanarsi dalla banalità, riuscendoci però solo a tratti. In un Pianeta Terra che ha praticamente esaurito le sue risorse, la civiltà ha eliminato guerre e sviluppo tecnologico per concentrarsi sulla propria sopravvivenza, minacciata dalla scarsità di cibo. La popolazione vive di fatto in un mondo appiattito, anche culturalmente, dove frequenti tempeste di sabbia ne compromettono la quotidianità, metafora di una natura ostile che ne soffoca e ostacola lo sviluppo. Cooper è un ex ingegnere dell’aeronautica, dedito come tanti all’agricoltura. L’uomo, che un tempo rivolgeva lo sguardo alle stelle in cerca di nuovi orizzonti da esplorare, è costretto a ripiegarsi sulla terra, attività nobile ma arida come i campi che coltiva. Dopo la perdita della moglie vive con suocero e due figli adolescenti in una tenuta circondata da piantagioni di mais (e la fotografia dei campi sterminati sui quali incombono perennemente le nubi di polvere, nella quale riecheggia tutta una filmografia fantascientifica e non, a partire da Signs di M. Night Shymalan, rimane tra le cose migliori del film) fino a quando non viene reclutato per una missione di portata epocale.

Difficile spiegare l’evoluzione del plot, sia per non svelare troppo di una storia che a suo modo propone continui cambiamenti di prospettiva, sia per l’eccessiva complessità della sua struttura, che poggia in larga parte sulla comprensione di leggi fisiche e teorie spazio/temporali. Basti sapere che la maggioranza delle oltre due ore e mezza di durata si svolge tra le stelle, in un epico viaggio spaziotemporale alla ricerca di alcuni esploratori partiti anni prima per trovare una nuova casa per il genere umano. Un’avventura ricca di tensioni e adrenalina, in cui sequenze da grande film action si mescolano al tentativo di dare all’azione una profonda base concettuale e un’architettura visiva stupefacente, in grado di tradurre in immagini le teorie fisiche, vere o presunte, che reggono la trama. Impossibile non ritornare a Inception, capolavoro proprio perché in grado di restituire con i mezzi propri del cinema un immaginario visivo di tale impatto da far passare quasi in secondo piano la matrioska concettuale che supportava. Qua il tentativo sembra fallire: Nolan si perde per forza di cose in un film troppo verbale, perché obbligato a dare continue spiegazioni, spesso incomprensibili a chi non mastica i più rudimentali principi della fisica, ma senza le quali qualcosa si perde. La forza di Nolan nell’essere un autore impegnato ma mai impegnativo, si sgretola in un film che se da una parte si può apprezzare per il tentativo di comporre un’opera imponente, con trovate positive anche a livello visivo (da contemplare i frequenti silenzi siderali dello spazio, con i dettagli delle astronavi fotografati da una luce che sa di film di fantascienza degli anni 70), dall’altra risulta globalmente poco incisivo. Soprattutto manca all’impianto concettuale un orizzonte che contempli la presenza del mistero che governa il cosmo e pure le leggi della fisica, dando vita a un’avventura a tratti appassionante (ma con tanti difetti anche a livello di scrittura dei personaggi) dove l’uomo è al centro di tutto e immerso negli abissi della galassia trova sempre in se stesso il fine e il mezzo per salvarsi.

La riflessione sul futuro dell’umanità e sulla salvezza della specie si interseca con dinamiche più intimiste che legano gli uomini, restituendo con efficacia il dramma del rapporto che unisce i protagonisti. Il legame per le persone che si amano sembra vincere su una prospettiva più ampia, diventando l’unica chiave per salvaguardare i propri affetti più intimi e il senso di responsabilità nei confronti dell’umanità intera, individuando l’amore come vero motore che guida le scelte verso la sopravvivenza, in senso quotidiano ed escatologico, dell’uomo.

Pietro Sincich