L’inizio di Indizi di felicità, che segue la falsariga degli incipit dei due precedenti documentari dell’autore, non lascia ben sperare: dopo un siparietto che può risultare stucchevole, con musicisti e viaggiatori che cantano “Over the Rainbow” in una metropolitana americana, parte una musica ridondante e un po’ melensa che fa da sfondo a immagini drammatiche o tragiche: dalle Torri Gemelle a bambini morti dopo un attentato o su una scena di guerra, dal presidente Ciampi che accoglie le bare dei soldati di Nassirya ai licenziati dopo il crollo della Lehman Brothers… Ma anche il cadavere tumefatto di Gheddafi, Benedetto XVI che lascia in elicottero il Vaticano dopo le sue dimissioni, le donne kamikaze di Beslen, l’assalto a Charlie Hebdo, immigrati su canotti straripanti, la strage al Bataclan, bambini che piangono disperati e altri ammutoliti. E l’albergo distrutto di Rigopiano ma anche il salvataggio di una bambina nello stesso posto. Immagini celeberrime, rimescolate insieme a suscitare un sicuro effetto emotivo. Ma suona tutto parecchio ricattatorio. E alla fine, la voce di Walter Veltroni che si chiede: «Si può essere felici in un mondo così duro?». Può sembrare falso e stucchevole, ma c’è da dire che la frase successiva già fa pensare che forse la sfida non è così banale: tante storie raccontano che, pur dopo tanto dolore, ci può essere una luce in fondo al tunnel. E Veltroni in effetti, come già nel precedente (e più bello, perché con protagonisti più spontanei) I bambini sanno, si propone di sentire dalla voce di persone vere, comuni, storie ed esperienze reali su ipotesi di felicità. Non riflessioni pensose (a parte quelle di un rabbino, all’inizio), ma momenti della vita in cui, dalla morte e dalla distruzione come da una qualunque crisi, sia sgorgata una gioia pudica ma profonda. Indizi di felicità, appunto, come recita il titolo.

Oltre venti incontri – singoli, coppie, gruppi – spesso emozionanti e anche commoventi. Come l’anziana donna che rievoca quando, bambina, incontrò per la prima volta in stazione il padre, che tornava dalla guerra dopo anni di lontananza: essere chiamata per nome, per la prima volta, dal proprio papà fu per lei la felicità. Spesso torna un giudizio, nei vari incontri: la felicità non può non essere condivisa: sembrerebbe una citazione del film Into the Wild di Sean Penn (film che scommetteremmo Veltroni ami parecchio), ma ci arrivano tutti in modo apparentemente spontaneo. C’è sicuramente cura, e anche rispetto nell’intervistatore – con lo stile e l’eleganza che, lo ammetteranno anche chi non ha mai condiviso le sue idee, Veltroni ha sempre tenuto anche nella sua precedente attività politica a differenza di tanti altri di oggi e di ieri – nel dialogare con persone che hanno sofferto o soffrono. Anche se quell’indugiare sulle loro lacrime potrebbe sembrare eccessivo.

Eppure Indizi di felicità ci dà la possibilità di guardare in faccia vite vissute, squarci di esistenza, persone normali a volte goffe (come il giovane sacerdote che è anche un tifoso della Sampdoria, ogni domenica in curva) e a volte tenerissime, come la donna di oltre novant’anni che rievoca il suo unico amore, quel marito ormai scomparso da tempo ma che ancora le fa palpitare il cuore come una ragazzina, «contenta della vita che ho vissuto»… Colpiscono parecchio anche l’imprenditore costretto a combattere un tumore che sembrerebbe non dargli scampo (impressiona vedere un omone piangere come un bambino) e che lo costringerà a cambiare approccio su tutto quanto, il gruppo di lavoratori che salvano l’azienda sull’orlo del fallimento, la donna scampata all’attacco dell’11 settembre, l’ex spacciatore che cerca di tirar via i ragazzini dalla strada e dai suoi pericoli (bellissima la constatazione di un “caso” che ha voluto la nascita del figlio lo stesso giorno, cinque anni dopo, della morte tragica del fratello: «Poteva nascere in qualsiasi momento…»). Ma anche protagonisti più “ordinari”, come due monaci nel proprio monastero (con la sottolineatura della dimensione comunitaria e del silenzio “abitato”) o gente appassionata al suo lavoro e ai propri affetti, con vite magari meno straordinarie ma che sempre hanno avuto momenti di difficoltà o di prova.
Su tutti, sicuramente l’incontro con Sami Modiano, scampato ad Auschwitz, che vide morire una sorella e il padre. Un padre che gli affidò nel salutarlo un messaggio decisivo: («Tieni duro, tu ce la devi fare!»). Tanto che se Modiano è sopravvissuto, racconta commosso ma trattenendo le lacrime con grande forza d’animo, è soprattutto perché sentì per tutta la vita vicino a sé quello stesso padre; oltre alla forza e alla speranza che ricava dai tanti incontri con i ragazzi cui va a parlare dell’Olocausto e che lo ascoltano con attenzione. Non tutto convince, alcuni momenti sono ancora un po’ stucchevoli anche nel finale. Ma al tirar delle somme i tanti momenti commoventi o i numerosi spunti di riflessione fanno di Indizi di felicità un nuovo tassello di quel percorso, serio e apprezzabile, da regista cinematografico che Veltroni si sta costruendo, a dispetto delle ironie dei detrattori.

Antonio Autieri