Come è uscito il Sudafrica dal regime di “apartheid”, che confinava la popolazione di colore (più di trenta milioni di persone) sotto il governo dispotico di una minoranza bianca di origine anglo-olandese (gli “afrikaans”) di pochi milioni? Come la fine di tutto questo non è degenerata in una guerra civile o in massacri dettati dalla vendetta? Molto si deve a Nelson Mandela e ai dirigenti più saggi dell’African National Congress che, assieme alle chiese locali, hanno promosso una campagna di riappacificazione nazionale basata sulle “Commissioni per la Verità e la Riconciliazione” in cui le vittime di ogni colore potevano raccontare i torti subiti, e i colpevoli ammettere pubblicamente i loro crimini e, dimostrando di aver eseguito ordini superiori, essere amnistiate. Nel film il tutto viene filtrato da una vicenda personale di due giornalisti (americano di colore lui, convinto che la giustizia non preveda il perdono, afrikaan lei, che soffre per quanto fatto dai suoi), non sempre con esiti felici: a volte la retorica o il “politicaly correct” prendono il sopravvento. Che resta sono comunque i fatti: una vicenda di perdono e misericordia cristiana, che si innesta su una tradizione locale (l’ubuntu) di grande dignità: il male fatto, oltre a colpire l’innocente, ricade sempre su chi l’ha commesso, e per questo bisogna ricercare la conciliazione per poter ricominciare.