Fuggitivo incatenato al braccio di Tony Curtis come ne La parete di fango (1958) o a sollevare mattoni per la costruzione di una cappella per le suore tedesche de I gigli del campo (1963) o in completo scuro nel salotto upperclass dei quasi suoceri Katharine Hepburn e Spencer Tracy in Indovina chi viene a cena? (1967), il più elegante era sempre lui, Sidney Poitier, spentosi il 6 gennaio all’età di 94 anni.
Passato alla storia del cinema non solo per il suo talento e i suoi numerosi ruoli di successo, ma anche e soprattutto per essere stato il primo attore afroamericano a vincere un Oscar come miglior attore protagonista (per I gigli del campo, consegnatogli da una raggiante Anne Bancroft), Poitier è stato prima davanti e poi anche dietro la macchina da presa per 51 anni, dal primo ruolo accreditato ottenuto in Uomo bianco tu vivrai! nel 1950 a un tv movie del 2001, carriera lunga e prolifica onorata anche con una statuetta alla carriera nel 2002. In quell’occasione, Poitier ringraziò, e condivise il premio con i molti registi, autori e produttori che, rischiando nel puntare su un giovane attore afroamericano in tempi in cui gli attori di colore non potevano neanche sognare di aspirare agli stessi ruoli (e cachet) dei colleghi bianchi, gli avevano dato un’opportunità, e spianato la strada a tanti altri attori di colore (tra cui, per citarne solo uno, Denzel Washington, che l’aveva presentato quella sera sul palco).
Questo era Poitier: un interprete bravissimo ma anche il simbolo del riscatto degli attori afroamericani, che aspiravano, e meritavano, di avere le stesse opportunità lavorative degli attori bianchi. Per la prima volta si vedeva un attore di colore avere lo stesso peso nella storia del film degli attori bianchi, essere il protagonista, interagire coi bianchi (addirittura essere fidanzato con una ragazza wasp!, in Indovina chi viene a cena?) e non solo comparire sullo sfondo a servire drink o a cantare malinconiche canzoni blues.
Poitier portò sullo schermo le agitazioni che si vivevano davvero nell’America degli anni 50-60: le stesse istanze portate avanti, ad esempio, dal movimento per i diritti civili per gli afroamericani (di cui nella vita privata faceva attivamente parte): lo scetticismo davanti a persone di colore che raggiungevano posizioni nella società convenzionalmente “per bianchi” (come il suo ispettore Virgil Tibbs ne La calda notte dell’ispettore Tibbs, 1967, o il suo professore ne Il seme della violenza, 1955, determinato a fare il suo lavoro nonostante la resistenza della sua classe di turbolenti ragazzi bianchi e persino dei colleghi); l’imbarazzo dei cosiddetti “liberali” che a parole accolgono tutti ma poi faticano a vedere un brillante, affascinante dottore di colore al fianco della propria figlia così come la manifesta ostilità e rabbia del galeotto Tony Curtis incatenato a lui, volente o nolente.
La strada che l’aveva portato quella notte di vent’anni fa a ricevere l’Oscar alla carriera, come disse lui stesso, era stata “molto lunga”: arrivato a Hollywood a 20 anni, figlio di due contadini delle Bahamas che a 15 anni lo mandarono a vivere a New York dal fratello maggiore per “tenerlo lontano dai guai”, dopo aver svolto i lavori più disparati e umili nella Grande Mela, Poitier “mentì” (convincendo, e quindi già allora dando prova di saper recitare) sulla sua età per poter entrare nell’esercito e sfuggire la fame che stava patendo; poi, assegnato al reparto psichiatrico dell’ospedale militare come assistente del medico, pur di fuggire da lì si finse pazzo… Raggiunta Los Angeles, mentre lavorava come lavapiatti sostenne un primo provino per una compagnia teatrale, ma solo al secondo venne preso e durante una rappresentazione venne notato da un talent scout di Hollywood che gli offrì un ruolo in Uomo bianco tu vivrai!, del 1950 (in cui un medico nero viene incaricato di curare due fratelli bianchi e sospetti razzisti). Poi, ostinato nel voler essere protagonista dei film di cui voleva far parte e non solo “maggiordomo sullo sfondo”, seguirono molti rifiuti di fronte a proposte di ruoli non all’altezza del suo desiderio, fino alla sua affermazione con titoli come il già citato Il seme della violenza. Il resto è storia. Una lunga, prolifica, bellissima storia.
Intenso, elegante, naturalmente dotato per il canto, affascinante, Poitier lascia un’impronta importante e indelebile nella storia del cinema e nei cuori di milioni di spettatori e amanti della settima arte in tutto il mondo. Con ostinazione e talento era entrato ad Hollywood, ce lo immaginiamo andarsene come si allontanò dalle suore de I gigli del campo dopo il lavoro svolto: intonando con voce calda e piena, e un largo sorriso sul volto, a passi sicuri, un melodioso “Amen!”.
Eva Anelli
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Una famosa scena di Indovina chi viene a cena? (1967)