Se n’è andato proprio nel 2019, come il personaggio di Roy Batty in Blade Runner, l’androide che aveva visto cose che noi umani non potevamo neanche immaginare.
Ci ha lasciato Rutger Hauer, attore olandese, che doveva la sua carriera all’imprinting datogli dai genitori, entrambi attori. Prima marinaio, militare, guida alpina, il giovane Hauer si rese conto nel 1967 che il suo desiderio era recitare. Grazie all’incontro con Paul Verhoeven iniziano i suoi ruoli nel cinema. Niente di particolarmente memorabile, sia in Olanda (il più noto è Soldato d’Orange del 1977) che in America, dopo il trasferimento di Verhoeven a Hollywood. Dopo essere apparso accanto a Sylvester Stallone ne I falchi della notte (1981), la chiamata di Ridley Scott per Blade Runner (1982). Un film che all’inizio ebbe anche scarso successo di pubblico, ma che si ritagliò negli anni una schiera sempre più numerosa di estimatori. E tutti rimasero conquistati dalla “tristezza cosmica” di Roy Batty nel monologo (che potete vedere qui di seguito) col quale l’androide si congeda dalla vita riservata agli umani. Un volto, quello di Hauer, dalle espressioni dure, che lasciavano intuire improvvisi scatti di furia e violenza, adatti ai ruoli che il cinema gli aveva cucito addosso.
Dopo la partecipazione a Osterman Weekend (1983), ultimo film di Sam Peckinpah, e alcuni successi come Ladyhawke (1985) e The Hitcher (1986), la chiamata dovuta all’intuito di Ermanno Olmi che ritenne che quel volto potesse rappresentare anche un carico di drammatico dolore e pentimento: così fu scelto per il ruolo protagonista ne La leggenda del santo bevitore (1988), da un romanzo breve di Joseph Roth sceneggiato dal regista insieme al grande critico Tullio Kezich. Hauer era Andreas Kartak, un alcolizzato parigino che riceve duecento franchi da uno sconosciuto, con l’impegno di restituirli nella cattedrale a Santa Teresa. Un ruolo insolito ma che Hauer aveva interpretato alla perfezione, annullandosi nel personaggio e dando spessore a una storia tanto delicata quanto lontanissima dai generi che aveva fino a quel momento frequentato. Il film fu presentato a Venezia, dove vinse il Leone d’Oro (poi anche quattro David di Donatello e un Nastro d’Argento).
Purtroppo i film seguenti (fra cui anche qualche brutta pellicola italiana: I banchieri di Dio, Barbarossa, Il villaggio di cartone dello stesso Olmi) non seppero fornire a Rutger Hauer ruoli della stessa intensità, relegandolo a piccole parti da “duro” ma che lasciavano sempre trasparire il grande talento che era (ma fu notevole nei panni del pittore Pieter Bruegel in I colori della passione, mentre di recente aveva fatto un cameo nel bel western di Jacques Audiard I fratelli Sisters). Non possiamo non ricordarlo nei film citati, e in particolare in quei due ruoli – il replicante e il santo bevitore – che lo hanno fatto passare alla storia: la brama di una vita umana piena, anche se mille volte più limitata di quella di un essere artificiale; e la ricerca del riscatto dalla dipendenza, che una promessa lascia intravedere, nell’attesa di una vita vera e finalmente compiuta. Cui anche ogni umano può aspirare.
Beppe Musicco
Ecco alcune sequenze dei film più amati interpretati da Rutger Hauer
Blade Runnner (1982)
Ladyhawke (1985)