A Venezia 77 (al Lido dal 2 al 12 settembre) si susseguono le proiezioni, nelle varie sezioni. Cominciamo come sempre con un titolo della gara ufficiale, per il Leone d’oro. In un normalissimo quartiere della Roma del 1976 il giovane Valerio vive una quotidianità spensierata nella venerazione del padre Alfonso, vicequestore per la città di Roma e responsabile dei servizi antiterrorismo per l’intera regione del Lazio. Quando una mattina il padre rimane ferito in un attentato organizzato dai militanti delle Brigate Rosse, Valerio vede la sua vita sconvolta da un trauma impossibile da elaborare. Una volta rimesso Alfonso gli equilibri famigliari paiono ristabiliti, ma la crepa causata dai fatti lascerà nei protagonisti ferite difficili da rimarginare. Si torna ai film italiani in concorso, con la partecipazione di Claudio Noce e del suo Padrenostro, film dalle forti tinte autobiografiche e insieme ritratto di un’epoca storica complessa come solo quella degli anni di piombo ha saputo esserlo. L’Alfonso Noce idolatrato dal piccolo protagonista è in effetti il padre del regista, il quale nel costruire la sua narrazione non svirgola mai verso patetismi o autocompiacimenti, interessandosi piuttosto a raccontare con sobrietà la forza morale di un uomo combattuto tra il proprio senso del dovere e la paura per l’incolumità propria e della sua famiglia. Insieme al ritratto dell’uomo di legge emerge però anche il fortissimo rapporto con il figlio, la cui prospettiva viene esplorata con un’incredibile cura del reparto tecnico, dalla regia alla fotografia: riprese dal basso, inquadrature che proiettano lo sguardo adorante del bambino sul padre, tutto mira a far raggiungere la percezione di un legame tanto indissolubile quanto precario con una figura paterna forte e totalmente positiva. Se il rapporto tra Alfonso e il piccolo Valerio è fatto da teneri sguardi e poche, significative parole, altro tono domina la relazione tra il bambino e uno speciale amico di nome Christian, sbucato dal nulla e attorniato da un’aura di mistero che lo seguirà per tutto il film. La sua origine e il suo scopo sono sconosciuti, e scatenano una tensione conoscitiva, tanto nello spettatore quanto nei protagonisti, che durerà fino alla fine. Le ipotesi sulle sue reali intenzioni si sprecano, e proprio a causa di ciò la parabola narrativa, soprattutto nella seconda parte del film, rischia di risultare poco coesa e talvolta confusa o lacunosa. Nonostante le pecche nella struttura della sceneggiatura e qualche momento eccessivamente lirico, il film di Noce vince per la tenerezza e la delicatezza con cui riesce ad affrontare la tematica della paternità e a esplorare la condizione di chi trovandosi piccolo e impotente – figlio, in tutti i sensi del termine – vive in un’ammirazione totale verso la figura paterna, una certezza intaccata paurosamente dalla possibilità che l’imponderabile, cioè la morte, possa trovarsi lì dietro l’angolo. Le fenomenali interpretazioni degli attori protagonisti (Pierfrancesco Favino su tutti, ma anche i giovanissimi Mattia Geraci e Francesco Gheghi, già visto in Mio fratello rincorre i dinosauri) valorizzano la già meticolosa costruzione dei personaggi e donano quel tocco di profondità emozionale che non potrà lasciare il pubblico indifferente. (Letizia Cilea)
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È stato presentato a Venezia anche un altro film italiano, il secondo in concorso: Miss Marx di Susanna Nicchiarelli, anche se si tratta di una coproduzione internazionale (girata in inglese), come il suo precedente film Nico, 1988 sulla cantante Christa Päffgen. Anche qui la regista racconta una vicenda biografica, ovvero la storia di Eleanor Marx: la figlia più piccola di Karl Marx, uomo di pensiero e azione politica poco attento agli affetti familiari. Eleanor, che tutti chiamano Tussy, vive nel suo culto e nella sua memoria, e lei stessa porta avanti lotte operaie e rivendicazioni per i più umili e per le donne. Donne che sono maltrattate anche dai “compagni”. La conferma gli arriverà non solo da segreti di famiglia ma anche dall’incontro con lo scrittore Edward Aveling: un amore tanto appassionato quanto difficile per l’inettitudine e l’egoismo dell’uomo. Immagini classiche e costumi per una storia di fine Ottocento, ma anche regia mossa e nervosa (che propone sempre scelte originali e non scontate), interpretazione eccellente di Romola Garai e colonna sonora che propone brani di musica classica o contemporanei con arrangiamenti rock suggestivi. Ben scritto, con dialoghi acuminati ma che possono anche risultare ridondanti (soprattutto a chi conosce poco la materia) e scene chiave forti ma senza scadere nella retorica, Miss Marx è una bella riuscita al netto di qualche appesantimento qua e là. La protagonista ci scava dentro e ci conquista, con il suo furioso desiderio di giustizia, sociale ma anche personale (fanno davvero male le ambiguità dei capi del marxismo e del comunismo, bravi a parlare ma molto meno a rispettare le donne, mogli e figlie comprese). La regista rischia a tratti la didascalia, ma evita le soluzioni più facili e banali, rischiando soprattutto nel sottofinale, con la figlia di Marx scatenata in un ballo liberatorio ma non pacificato raggiungendo una maturità stilistica e narrativa notevole. un film non per tutti, forse, ma consigliato a chi non solo ama i film storico-politici, ma che piacerà anche a chi si farà toccare dalle vicende dolenti di una donna forte e fragile al tempo stesso, che oltre che giustizia chiede alla vita amore e felicità. (Antonio Autieri – visto in anteprima a Milano)
Passiamo all’India con The Disciple, sempre in concorso. Sharad Nerulkar è un giovane musicista e cantante di Mumbai che vuole padroneggiare l’arte del canto dei rag, composizioni classiche tipiche del nord dell’India, cui è stato iniziato dal padre. Per questo segue fedelmente un anziano cantante nei suoi concerti, ne accompagna le esibizioni, partecipa a concorsi canori. Uno studio e un’applicazione piena di sacrifici, che lo accompagnano fino alla maturità. Il film di Chaitanya Tamhane è un’opera di stampo classico, sulla ricerca della perfezione attraverso una scelta di vita, accompagnata da meditazioni sul significato del lavoro e dell’impegno, non finalizzate a raggiungere una tecnica, ma a comprendere la verità profonda, la bellezza di quello che si sta facendo e cantando. Una storia che abbraccia la gioventù fino all’età adulta, costellata di tentativi, delusioni e anche solitudine. Sebbene di non sempre facile visione (le numerose parti cantate potrebbero sembrare tutte uguali allo spettatore occidentale), anche per le frequenti scene al rallentatore nelle quali il protagonista vaga per le strade della città, il film conserva un suo fascino anche nel mostrare le contraddizioni di un paese come l’India, sempre a cavallo tra una contemporaneità dettata dai costumi occidentali e profonde radici millenarie. (Beppe Musicco)
Nella foto:
Pierfrancesco Favino e Mattia Garaci in Padrenostro di Claudio Noce
Nel video:
Letizia Cilea e Beppe Musicco ci parlano di The Disciple di Chaitanya Tamhane, di Padrenostro di Claudio Noce e di The Duke di Roger Michell