Una famigliola canadese si trasferisce in America: accompagnate dalle due figliolette, padre e madre cercano di dimenticare la morte del terzo figlio. L’America appare loro come un paese di grandi speranze ma anche di enormi fatiche, soprattutto economiche. Ma il dolore che si portano dentro è la vera fatica. Mentre le due bambine vivono in una dimensione di sogno la nuova vita. Nella quale entrerà anche un gigante nero, temibile in apparenza quanto buono. ,Magia, sofferenza, speranza, dolore: tanti temi forti nel film del regista irlandese Jim Sheridan, interessante e ben sostenuto dagli attori (soprattutto la brava Samantha Morton) e da una sceneggiatura strana e originale (candidata all’Oscar). Che punta non solo sul tema sociale – l’immigrazione, l’emarginazione sociale in un grande paese che respinge e attrae al tempo stesso la famigliola canadese – ma anche su aspetti esistenziali di spessore, anche religiosi.,Strano solo che Sheridan, in genere così sobrio (di lui si ricordano Il mio piede sinistro, Nel nome del padre e The Boxer) si lasci andare qua e là a un sentimentalismo poco controllato (anche se filtrato spesso dallo sguardo favolistico delle bambine), che sfiora il kitsch (anche per l'accumulo di disgrazie che capitano): ma c’è da considerare che la storia è fortemente autobiografica, avendo vissuto da giovane con moglie e figliolette l’analoga esperienza di entrare in America da semiclandestino. E comunque il tema della necessità di aprire il cuore, chiuso dal dolore, alla possibilità che qualcosa di vero ancora accada nella vita – specie nel rapporto tra marito e moglie, segnati dal lutto – è centrato e, a tratti, commovente. Come la possibile opzione tra credere o non credere in un Dio che si è manifestato in un modo “inaccettabile”, ovvero con la Morte di un figlio.,

In America
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