Non possiamo non parlare dell’elefante in salotto: scrivere e dirigere questo film, dopo averne fatti quattro di fila in coppia con Checco Zalone, per Gennaro Nunziante sarà stato come mettersi al volante di una utilitaria dopo aver pilotato una Ferrari da Formula 1. Nunziante non nasce cinematograficamente con Checco Zalone (era stato già sceneggiatore per Alessandro D’Alatri e Cristina Comencini) ma questo film era comunque atteso con curiosità, come se fosse per lui un esordio, per vedere che storia avrebbe potuto egli cucire attorno al filiforme youtuber Fabio Rovazzi, una maschera praticamente antitetica a quella “zaloniana” che lo ha reso celebre. E tutto in questo film sembra fatto apposta per non dover pesare troppo sulle spalle gracili del protagonista, che s’impegna, ispira simpatia – anche per come sa prendersi in giro – ma di certo non è un fuoriclasse capace di reggere un intero film grazie al carisma.

La storia: assunto dopo un colloquio in una imprecisata azienda, il neolaureato in scienze della comunicazione Fabio Rovazzi (il personaggio si chiama come l’attore, come già Checco Zalone e Aldo, Giovanni e Giacomo nei rispettivi film) scopre che le sue prospettive di carriera non andranno oltre l’ingrato compito di distribuire volantini condominio per condominio, che comunque assolve coscienziosamente e senza lamentarsi. Quando la sua ragazza lo lascia per andare a cercare fortuna all’estero, Fabio resta solo con il coinquilino Nicola, da cui è guardato con incredulo disappunto per la sua incapacità di accettare qualunque compromesso con la propria coscienza. La svolta avviene quando suo padre, imprenditore edile con cui non parla da tempo, finisce in coma dopo un incidente stradale, lasciandogli per legge carta bianca nella gestione degli affari, ma anche una sorellastra di 9 anni da accudire. Fabio si mette d’impegno alla guida dell’impresa ma scopre che tutta la fortuna di suo padre si deve a manovre illegali e allora, per mettere tutto in regola, è costretto a liquidarne il patrimonio. Non gli resta, senza più un lavoro e un soldo, che accettare uno stage nell’azienda che l’aveva già assunto, selezionato grazie alla dedizione mostrata proprio nell’ambito del volantinaggio. Il tirocinio avverrà in un borgo rurale dell’Italia centrale e le sorprese, da qui in poi, non mancheranno.

Come già Massimo Venier che dopo l’abbuffata dei primi cinque film diretti per Aldo, Giovanni e Giacomo (e Mi fido di te con Ale e Franz) si cimentò con Generazione 1000 euro nella descrizione delle ambasce dei neo laureati nell’epoca della crisi e del precariato, anche Nunziante riparte dai giovani, anzi dalla faccia quasi da bambino di Fabio Rovazzi, qui nelle vesti di un candido laureato ventiquattrenne che, pieno di aspettative e buona volontà, si scontra con un mondo del lavoro che sembra negargli qualunque possibilità non avesse anche prima di mettersi a studiare. Il vegetale del titolo è il soprannome che a Fabio è stato appioppato da suo padre (Ninni Bruschetta), il classico maneggione che ha capito come sfruttare a suo vantaggio i contorsionismi della legislatura italiana, ma è anche l’adulto stesso, che finisce immobilizzato dopo l’incidente, permettendo al ragazzo di riportare la famiglia nei binari dell’onestà ma anche sul lastrico. I vegetali sono anche quelli con cui i giovani italiani non vogliono più sporcarsi le mani e che nelle campagne e negli orti della penisola vengono raccolti ormai solo dagli immigrati. Tutta la parte centrale del film (che in realtà è la meno originale, e in cui il protagonista incontra anche il mentore – ben interpretato da Zingaretti ma irrisolto narrativamente – e la donna dei sogni) insiste sul paradosso di una società italiana multietnica in alcuni ambienti in cui ormai gli italiani sono netta minoranza (ben esemplificata dalla squadra di calcio italiana in cui l’unico “azzurro” sta in panchina e serve solo per iscrivere il team al torneo). Di vegetale è anche un po’ il sapore di questo film, guardando il quale si ha l’impressione di masticare della verdura cruda: qualcosa cioè di assolutamente sano e rinfrescante ma che non strappa mai l’applauso per lo chef.

Nonostante i difetti e una certa mancanza di mordente, il film ci consente se non altro di allungare l’elenco di commedie totalmente prive di volgarità e destinate pertanto a tutta la famiglia, e gli spunti interessanti non mancano. La critica sui laureati in scienze della comunicazione che non sanno comunicare (con i padri, con le sorelle, con le fidanzate…) va decisamente a segno, così come la frecciata ai giovani con il mito bohémien e inflazionatissimo del fare il cameriere a Londra. Con sottigliezza si svela il ridicolo di uomini e donne d’azienda che dietro l’allure di impeccabilità sembrano più che altro recitare una parte, come anche sono ben raccontati, grazie ad alcuni caratteristi con le facce giuste, i conciliaboli tra avvocati e banchieri alla ricerca della scappatoia giusta.

Il tutto, come negli altri film firmati da Nunziante, senza mai infierire e con uno spirito costruttivo e rivolto sempre verso l’alto: l’eroe del film non è un citrullo. È un buono. Subisce non per mancanza di carattere ma per sovrabbondanza di fiducia, come ammette nel colloquio di lavoro con cui il film inizia. La sceneggiatura (nella quale sono filtrati alcuni “suggerimenti” del poeta Davide Rondoni, come si legge nei titoli di coda) asseconda questa bonomia e questo ottimismo (nel prossimo, nella vita, nel futuro…) e – bisogna ammettere – che è salutare seguire il personaggio cinematografico di un giovane italiano che parte da una posizione positiva rispetto alla realtà ed è capace di non perderla, alla fine del racconto, nonostante le vicissitudini incontrate lungo il cammino e l’epoca di spinto disincanto in cui si trova. Insomma, ci sono tutti i pregi del cinema di Gennaro Nunziante tranne quello più importante, la cui presenza, nei film precedenti, faceva da irresistibile collante. Purtroppo non è una mancanza da poco, anche se – come ha detto Rovazzi in un’intervista – “questo film è il primo passo di un cammino”. In bocca al lupo.

Raffaele Chiarulli