Da sempre interessato ai legami familiari, a partire dai suoi primi film Bottle Rocket e Rushmore, purtroppo mai distribuiti in Italia, Wes Anderson nel 2001 è diventato improvvisamente un regista di culto. Questo grazie a I Tenenbaum, storia di una famiglia squinternata nella quale spiccavano Gene Hackman, Ben Stiller e Gwyneth Paltrow (ma tutto il cast, a partire da Anjelica Huston e Bill Murray era strepitoso). Il tocco gentile e l’affettuosa ironia con cui descriveva, come nei capitoli di un libro, le tormentate e sottili vicende dei protagonisti, lasciavano trasparire uno spirito geniale. Da quel momento, i suoi fan lo hanno devotamente aspettato per assistere ad altre storie di bizzarri legami tra padri e figli o tra fratelli e fratellastri: circostanze che mescolassero, come ne Le avventure acquatiche di Steve Zissou, improbabile realtà e credibilissima fantasia. Affezionato ad alcuni attori che considera ormai come parenti (è il caso di Bill Murray che ritroviamo ne Il treno per Darjeeling anche solo per un cameo), Anderson questa volta sceglie l’India. E non l’India più conosciuta, quella delle spiagge di Goa o delle megalopoli di Calcutta, Delhi o Bombay; ma grazie ai vagoni retrò del Darjeeling Limited ci fa compiere un viaggio in treno verso il deserto del Rajasthan. Viaggio originato dal desiderio del protagonista, Francis Whitman (Owen Wilson), che dopo un pauroso incidente in moto decide che deve riunirsi ai fratelli Peter e Jack (i tre non si frequentano più ormai da molto tempo), e per questo organizza uno stravagante itinerario indiano che da subito si intuisce sarà molto difficile da rispettare. Scritto con Roman Coppola e Jason Schwartzmann (rispettivamente figlio e nipote di Francis Ford Coppola) sui tavolini dei bistrot di Parigi, The Darjeeling Limited è una specie di romanzo di formazione, anche se a più voci e con un andatura oscillante come può essere quello di un vecchio treno a vapore. Presentato a Venezia, anche se senza Owen Wilson che in un attacco di solitudine aveva tentato il suicidio, il film è pressoché un'unica, lunghissima discussione tra i fratelli, interrotta da innumerevoli accidenti, a volte comici, a volte drammatici. E sono proprio i momenti drammatici i più veri, quelli che obbligano i tre ad abbandonare una spiritualità di maniera e modaiola per interrogarsi sulla propria vita e il rapporto che li lega tra loro e ai propri genitori, specialmente la madre, che vive in India in una comunità religiosa. Un film insolito, dalla trama esile, che non sembra andare da nessuna parte, ma che proprio per questo ha un suo fascino particolare. NB: il film è preceduto da un corto che funge da prologo dal titolo “Hotel Chevalier”, con Jason Schwartzmann e Natalie Portman.,Beppe Musicco