Per Adriano Doria sono ore decisive. Giovane imprenditore di successo, si è risvegliato in una camera d’albergo – sul pavimento, ferito alla testa – chiusa dall’interno. E nella stanza accanto, ha trovato il cadavere di Laura, sua amante. Arrestato, si dichiara innocente: c’era qualcun altro – sostiene – in quella stanza, che l’ha colpito e ha probabilmente ucciso Laura mentre lui era svenuto. Ma com’è uscito da una stanza chiusa e con finestre bloccate? Il suo avvocato, in difficoltà di fronte al quadro accusatorio, incarica la celebre penalista Virginia Ferrara, al suo ultimo caso dopo una carriera senza sconfitte. La donna va da Doria – che nel frattempo è stato lasciato dalla moglie e rischia di perdere tutto quanto ha costruito con la sua azienda hi-tech – per costruire una linea difensiva: hanno poche ore, mentre la procura sta per interrogare un nuovo, temuto testimone di cui non si conosce l’identità. Vuole sapere, prima, come sono andate le cose – c’è di mezzo, prima, un incidente stradale e un altro morto, con annessi possibili testimoni e ricatti – e poi dipanare la matassa in cerca del fattore decisivo per scagionare Doria. Ma come sono andate esattamente le cose?

Remake di un giallo spagnolo, Contrattempo di Oriol Paulo, Il testimone invisibile si muove in parallelo su due piani: la serrata dialettica tra l’avvocato e Adriano Doria e la rievocazione in flashback dei fatti, raccontati e sviscerati. E proposti da differenti punti di vista, quante sono le ipotesi che man mano si mettono sul tavolo (e si propongono allo spettatore). Per chi ha già visto l’originale iberico, che si concludeva con un colpo di scena a effetto, la sorpresa è nulla e si possono al limite apprezzare le interpretazioni degli interpreti principali, in particolare Riccardo Scamarcio, Maria Paiato, Miriam Leone e Fabrizio Bentivoglio. Curiosamente, non essendo comunque famosissimo (il film è passato in Italia solo su Netflix, ed è un cult per chi l’ha scoperto, magari casualmente o per passaparola, sulla piattaforma; non certo un successo di massa), il regista Stefano Mordini non si sente libero di inventare e osare, ma impagina la versione italiana “a ricalco”, replicando pari pari la maggior parte delle scene, i dialoghi, perfino molti nomi (Adrian Doria, Laura, Tomás Garrido che diventa Tommaso Garri… Solo Virginia Ferrara è leggermente differente: in originale era Virginia Goodman). Anche le somiglianze sono ricercate tra molti personaggi, sebbene quello di Scamarcio abbia caratteristiche un po’ diverse dal suo alter ego.

Si può allora pensare che, in forza di un meccanismo perfetto, si sia deciso di non rischiare e quindi di riproporlo agli ignari spettatori per massimizzare gli effetti positivi. Eppure, nonostante l’effetto fotocopia, il risultato finale è ambivalente: la confezione è elegante e curata (anche più di quella spagnola, però con quell’effetto “patinato” che un po’ grava su tanti film italiani), gli attori sono bravi (anche se “reggono meno” bene i rispettivi personaggi: Bentivoglio per esempio ha un’evoluzione un po’ brusca, che non convince del tutto), ma a tratti la suspense latita e la caratterizzazione enfatica di dialoghi e recitazione non sembra efficace e lascia una generale sensazione di artefatto e poco plausibile al tutto; e perfino il famoso colpo di scena finale, per chi è attento ai famosi “dettagli” continuamente citati, rischia di arrivare spento come un petardo bagnato. Non possiamo né vogliamo dir nulla per non rovinare la sorpresa, ma la sua forza si basava su un assunto che in Il testimone invisibile non è a prova di bomba. Ci sbaglieremmo, ma non serve essere scafati appassionati di gialli, ma solo fisionomisti…

Luigi De Giorgio