Esordio cinematografico del giovane Enrico Maria Artale che ha tutti i difetti dell'opera acerba e non pienamente controllata. Storia semplice e taglio realistico: Samuel è un ragazzone con una faccia da schiaffi, è appena uscito dal carcere e, in regime di semilibertà, deve riadattarsi al mondo lavorativo. Il suo riferimento è Vincenzo, un assistente sociale (Stefano Cassetti), pure lui con un sacco di problemi: beve, è umorale e scontroso e sta crescendo da solo una figlia adolescente dopo la morte della moglie. Per Samuel le cose si fanno difficili: un po' per il rapporto non facile con l'assistente sociale, un po' per il lavoro spiacevole in un'azienda agricola tra le vacche, un po' per il carattere violento e istintivo che più volte fa capolino. La svolta passerà su un campetto di periferia di rugby. ,Storia ai minimi termini e svolte prevedibili. Artale, anche sceneggiatore assieme a Francesco Cenni e Luca Giordano, imbastisce un racconto senz'altro positivo su un piccolo sogno italiano all'insegna della realizzazione di sé attraverso il rugby che è metafora del duro lavoro, del gioco di squadra, del sacrificio per l'altro. Da questo punto di vista il film riesce nell'intento di “spiegare”, pur con qualche eccesso di didascalismo, il mondo del rugby a un pubblico di giovani e profani: il rugby come una grande famiglia in cui tutti si è accolti, tutti sono protagonista (e tutti devono passare la palla!) e in cui ci si protegge a vicenda come su un campo di battaglia. Buone intenzioni, anzi ottime rese non nel modo migliore. L'aspetto più evidente è il lavoro sugli attori che non eccellono e non solo per demeriti propri (Lorenzo Richelmy nei panni di Samuel è volenteroso ma ancora assai acerbo e incapace di reggere sulle proprie spalle un intero film) ma per una sceneggiatura schematica che combina sequenze enfatiche poco in sintonia con lo stile sobrio del film (una su tutte: l'allenamento in notturna di Samuel e la scoperta del suo talento) ad altre eccessivamente didascaliche come nelle molte in cui si spiegano le regole, anzi le leggi del rugby. Anche da un punto di vista narrativo il film mostra alcuni punti deboli: se il rapporto tra Vincenzo e Samuel, pur senza essere troppo approfondito, appare realistico e comunque utile ai fini della vicenda, la vicenda d'amore con protagonista lo stesso Samuel è poco incisiva e banalizza e porta solo a una banalizzazione dell'intreccio; per tacere poi del personaggio di Stefania Rocca, pochissima cosa. Non solo: in generale, nonostante mostri una discreta capacità nell'uso della macchina da presa, con le sequenze delle partite, per esempio, riuscite ed efficaci, Artale non riesce mai ad imprimere un ritmo forte a una storia che rischia di diventare prevedibile. Per dire: c'è tanto rugby spiegato e tante belle facce di ragazzi appassionati allo sport e probabilmente in cerca di un riscatto dalla vita ma quando la narrazione stringe, le svolte e i problemi vengono a galla, lo spettatore fatica a vedere in atto questo riscatto, questa passione, questa lotta. E fatica ad appassionarsi e ad amare i personaggi. È un problema di regia, innanzitutto, che non riesce a tramutare in immagini forti la vicenda sana e bella di un ragazzo che uscì di prigione con solo le proprie ferite e scoprì un posto, un campo, dove le cicatrici sono tatuaggi indelebili che hanno a che fare con un'amicizia e forse anche con un Destino buono.,Simone Fortunato

Il terzo tempo
Un ragazzo problematico, appena uscito di carcere e in semilibertà, trova in una piccola squadra di rugby la sua realizzazione.