Dopo l’interessante prova di Comedians, Gabriele Salvatores torna al cinema con una storia a cavallo tra presente e passato, prendendo spunto da uno dei più famosi personaggi storici e letterari d’Italia, tanto che il suo cognome da secoli indica i rubacuori di tutto il mondo: Casanova. Ma Salvatores sceglie un doppio binario per il suo racconto: alle vicende di un Casanova ormai ultrasessantenne (Fabrizio Bentivoglio) che aspira ancora una volta alla conquista di una fanciulla in fiore (il riferimento è l’omonimo racconto del 1918 di Arthur Schnitzler), affianca il regista del film che di questo Casanova al tramonto è l’autore: Leo Bernardi (Toni Servillo).
Usando il colore per le vicende del passato (il film) e il bianco e nero per l’attualità, Salvatores disegna una vicenda dai chiarissimi rimandi felliniani. Leo Bernardi è un regista demotivato e impigrito, che dovrebbe lavorare al montaggio finale del suo film su Casanova (già richiesto dalla Mostra del Cinema di Venezia); ma Bernardi traccheggia, lascia tutto in mano al suo fido montatore (un grande Natalino Balasso) e preferisce rintanarsi in una casa milanese iper moderna e fredda, governata dalla domotica, capace di accoglierlo quando entra ed aprire il rubinetto quando sa che deve lavarsi le mani, ma anche capricciosa e capace di rivoltare i comandi contro il proprietario. Bernardi è sempre malmostoso, sia che si rivolga con malagrazia alle sue conquiste amorose, sia nell’essere scorretto quando tira di scherma, sia nel rifiutare i giornalisti che vorrebbero sapere di più sul suo film. Mentre la vicenda del Casanova squattrinato, che impegna i suoi averi per trascorrere di nascosto un’ultima notte d’amore con la giovane amante di un ufficiale veneziano, segna gli squallidi stratagemmi di un uomo che ormai ha perso il suo fascino, anche le vicende del regista sono all’insegna di un’impotenza affettiva nei confronti delle donne, del suo lavoro e del confronto con registi più giovani e acclamati.
Il racconto di Salvatores, anche se strutturato su piani differenti e con la presenza di ottimi attori, mostra dei limiti oggettivi. La storia è scontata fin dai primi passaggi, l’accidia del regista protagonista si sa già dove e come andrà a finire, come pure le sue schermaglie amorose all’inseguimento di una donna più giovane (Sara Serraiocco), conosciuta nelle campagne durante la ricerca dei luoghi per i film, che sembra non prenderlo sul serio. Anche la parte riguardante Casanova è piena di orpelli e dialoghi convenzionali, che non riescono ad appassionare lo spettatore alle vicende del famoso personaggio. Così l’insieme risulta poco interessante, se non addirittura noioso in alcuni momenti. Siamo ben lontani dai ricordi e dalle visioni oniriche di Fellini/Marcello Mastroianni in 8 ½, ma anche da prove più convincenti del regista milanese, che in questa occasione ha ecceduto in citazioni, allusioni, ciprie e parrucche, per un film sul tempo che passa, ma che in realtà sembra non passare mai.
Beppe Musicco
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